Come funziona il risarcimento dei danni derivante dalla violazione della privacy? Una sentenza della Cassazione ci offre qualche informazione in più.
Con l’ordinanza n. 16402 del 10 giugno 2021, la Cassazione si è discostata dal tenore di decisioni precedenti in materia, rigettando la richiesta di risarcimento economico del danno non patrimoniale.
QUALI DANNI DALLA VIOLAZIONE DELLA PRIVACY
La violazione delle norme sulla protezione dei dati personali difficilmente causa un danno materiale vero e proprio.
Solitamente, il danno riguarda la sfera emotiva, la reputazione sociale o la serenità dell’individuo che subisce la violazione. Pensiamo, per esempio, all’effetto che può avere la condivisione di informazioni personali che dovevano rimanere private o il trasferimento illecito dei dati.
Si tratta di danni non patrimoniali.
COME FUNZIONA IL RISARCIMENTO DI UN DANNO NON PATRIMONIALE
Per stabilire se il danno non patrimoniale porti a una forma di risarcimenti economico è necessario dimostrare la gravità della lesione subita.
Sarà il giudice a stabilire se ci si trova davanti a un danno reale e serio o se si tratta si una “semplice” violazione delle norme sulla privacy.
Nella recente ordinanza, la Cassazione ha ripreso quanto deciso nella pronuncia n. 17383 del 20/8/2020, ribadendo che un danno non patrimoniale derivante dalla violazione della normativa privacy, sebbene questa rappresenti una lesione di un diritto fondamentale (artt. 2 e 21 della Costituzione e art. 8 della CEDU), è soggetto alla valutazione della “gravità della lesione” e della “serietà del danno”, poiché tale diritto va bilanciato con il principio di solidarietà (ex art. 2 della Costituzione) che prevede di tollerare la lesione minima dello stesso.
In sostanza, la semplice violazione delle norme sulla protezione dei dati personali non rappresenta di per sé un buon motivo per ottenere un risarcimento, possibile solo nel caso in cui vi siano le prove che la stessa ha causato un’offesa considerevole al diritto dell’individuo.
Ciò si pone in accordo con quanto previsto dal GDPR (art. 79 e 82) e dalla Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea (art. 47).
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