29 Luglio 2025 - LAVORO | Pubblico impiego

Tetto retributivo per i dipendenti pubblici: la Consulta boccia la soglia fissa da 240mila euro

Con la sentenza n. 135, la Corte costituzionale ristabilisce il principio di proporzionalità e indipendenza, dichiarando l’illegittimità del tetto fisso introdotto nel 2014 e imponendo un ritorno al parametro legato allo stipendio del primo presidente della Cassazione

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 135, è intervenuta su un nodo cruciale del pubblico impiego: il tetto alle retribuzioni dei dipendenti pubblici. Pur confermando che un limite massimo ai compensi pubblici non è di per sé incompatibile con i principi costituzionali, i giudici hanno dichiarato l’illegittimità dell’art. 13, comma 1, del decreto-legge n. 66 del 2014, nella parte in cui fissava in modo rigido tale soglia a 240.000 euro lordi annui.

La Consulta ha ribadito che il tetto retributivo, per essere legittimo, deve continuare a essere ancorato al trattamento economico complessivo spettante al primo presidente della Corte di Cassazione, come previsto originariamente nel 2011. Il ritorno a questo parametro non è solo formale: garantisce una dinamica retributiva più coerente con l’evoluzione degli stipendi nella pubblica amministrazione e tutela l’autonomia e l’indipendenza di figure apicali dell’ordinamento, come i magistrati.

Il tetto fisso introdotto nel 2014, concepito inizialmente come misura temporanea e straordinaria nel contesto della crisi finanziaria, aveva comportato una decurtazione significativa degli emolumenti, in particolare nei confronti dei magistrati. Tuttavia, osserva la Corte, quella temporaneità si è col tempo dissolta, trasformando una misura emergenziale in una regola strutturale, con effetti ritenuti oggi non più sostenibili dal punto di vista costituzionale.

L’orientamento della Consulta si inserisce in un quadro giurisprudenziale europeo che sottolinea la necessità di preservare la dignità e l’autonomia della magistratura anche sul piano economico. Significativa, in tal senso, la recente pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea (25 febbraio 2025, cause C-146/23 e C-374/23), che ha censurato analoghe riduzioni retributive per i giudici, riconoscendo la centralità della loro indipendenza.

Già nel 2021, con la legge di bilancio (art. 1, comma 68, L. 234/2021), si era intervenuti sulla materia, introducendo una rivalutazione annuale del limite retributivo in base agli aumenti medi rilevati dall’ISTAT per i dipendenti pubblici. Tale meccanismo, applicato con il d.P.C.M. del 25 luglio 2022, ha portato la retribuzione annua lorda dei giudici costituzionali a 361.620 euro, comprendente la quota base e un incremento del 0,45%.

In virtù del principio di generalità che caratterizza il tetto retributivo, la sentenza della Corte non riguarda solo magistrati e vertici istituzionali, ma si estende a tutti i dipendenti pubblici soggetti alla medesima disciplina. Trattandosi, però, di una illegittimità sopravvenuta, gli effetti della pronuncia non saranno retroattivi: produrranno efficacia solo dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale.


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