Un occhio elettronico che non si spegne mai, puntato su salotti, camere da letto e persino studi professionali. È da qui che parte l’ultima, inquietante deriva del cybercrimine: migliaia di filmati rubati dalle telecamere di videosorveglianza a basso costo, hackerate da pirati informatici e rivenduti online a pagamento.
Un portale registrato alle Isole Tonga, e quindi difficilmente perseguibile dalle autorità internazionali, raccoglie e organizza oltre 2.000 video provenienti da abitazioni private, palestre, centri estetici e persino ambulatori medici. Le clip, spesso a sfondo sessuale, vengono catalogate per luogo, stanza e tipo di attività, trasformando la violazione della privacy in un vero e proprio motore di ricerca per contenuti illegali.
Il caso italiano
Secondo i dati diffusi da Yarix, centro di competenza per la cybersecurity del gruppo Var di Treviso, sono già 150 i filmati italiani identificati, tra cui tre provenienti da una sola abitazione di Verona. Alcuni hanno superato le 20.000 visualizzazioni. Per accedere al materiale non serve alcuna registrazione: basta collegarsi al portale o a un bot dedicato su Telegram e pagare una quota compresa tra 20 e 575 sterline, a seconda del pacchetto scelto.
Un business globale
I video provengono da dispositivi distribuiti in tutta Europa e oltre: Francia, Germania, Messico, Argentina. L’Italia, con i suoi 150 casi noti, è solo una parte di un fenomeno che rischia di dilagare. A rendere più difficile l’azione repressiva sono le normative leggere dei Paesi in cui vengono registrati i domini e la mancanza di accordi internazionali vincolanti.
La beffa della “giustificazione”
Sul portale compare persino una sorta di manifesto etico, in cui i gestori dichiarano di voler “sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi legati alla vulnerabilità di hardware e software”. Una motivazione surreale di fronte a un sistema costruito per monetizzare violazioni sistematiche della vita privata.
L’allarme degli esperti
“Queste piccole telecamere domestiche, acquistate online a prezzi bassi e installate senza particolari accorgimenti, possono trasformarsi in strumenti di spionaggio involontario” avverte Giorgio Marson, Chief Technical Officer di Yarix. “Molti utenti utilizzano password troppo semplici o addirittura lasciano quelle di default fornite dal produttore. Il primo passo per difendersi è cambiarle subito con codici complessi e, quando non serve, staccare la spina della videocamera”.
Dal 2016 Yarix collabora con la Polizia Postale del Veneto attraverso un protocollo d’intesa e ha segnalato l’attività al Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica (Co.Sc.) di Venezia, affinché vengano avviate indagini.
La lezione da imparare
Il caso dimostra ancora una volta come la sicurezza digitale non sia solo un tema tecnico, ma una vera e propria esigenza sociale. La diffusione incontrollata di immagini intime non riguarda più solo personaggi noti – come il recente episodio che ha coinvolto il conduttore Stefano De Martino – ma rischia di travolgere cittadini comuni, inconsapevoli di avere una telecamera-spia accesa in casa.
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