Trasparenza della giustizia e tutela dei dati personali: dove sta il giusto equilibrio? La questione torna d’attualità dopo la decisione del TAR Lazio, che con la sentenza n. 7625 del 17 aprile 2025 ha chiarito i limiti e le modalità con cui i dati personali possono essere oscurati nei provvedimenti giudiziari pubblicati online.
In Italia, la regola generale è che le sentenze, una volta depositate, siano pubbliche e accessibili a tutti. Tuttavia, per specifiche e limitate ipotesi, la legge consente di oscurare i dati personali dei soggetti coinvolti. È quanto stabilisce il Codice della Privacy (d.lgs. n. 196/2003) agli articoli 51 e 52, che prevedono la possibilità di chiedere l’oscuramento per motivi legittimi, oppure impongono la riservatezza in caso di delicate vicende personali come rapporti di famiglia o situazioni che riguardano minori.
La Corte di Cassazione aveva già ribadito questo principio con la sentenza n. 7588 del 21 marzo 2025, ma è stato il TAR Lazio a intervenire sul caso concreto: il Ministero della Giustizia, con un provvedimento datato 1° dicembre 2023, aveva disposto l’oscuramento sistematico di tutti i dati personali contenuti nei provvedimenti pubblicati nella banca dati pubblica di merito. Una decisione che il tribunale amministrativo ha definito illegittima, in quanto in contrasto non solo con le norme nazionali, ma anche con l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e l’art. 111 della Costituzione, che garantiscono la pubblicità dei processi e delle sentenze.
Il TAR ha sottolineato come il principio di pubblicità non si esaurisca con la celebrazione dell’udienza, ma debba estendersi anche alla sentenza, che «di regola deve essere disponibile in maniera integrale al pubblico». Solo il giudice procedente, e non un’autorità amministrativa, può disporre limitazioni all’accessibilità dei provvedimenti per ragioni specifiche e motivate.
Anche il diritto europeo si muove in questa direzione: l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea impone infatti che chiunque abbia diritto a un processo equo e pubblico, con pronunce rese pubbliche, salvo casi eccezionali giustificati dalla tutela di interessi superiori.
Un’altra precisazione importante arriva dal TAR Lazio sulla disciplina dei procedimenti arbitrali: anche in caso di deposito di un lodo arbitrale ai sensi dell’art. 825 c.p.c., la parte può chiedere agli arbitri l’oscuramento prima della pronuncia, con l’obbligo di annotare tale richiesta sul lodo stesso.
In conclusione, la recente pronuncia rafforza una linea giurisprudenziale che da anni riconosce valore costituzionale e sovranazionale alla pubblicità delle sentenze, prevedendo tuttavia cautele mirate, mai indiscriminate. La diffusione dei provvedimenti integrali resta la regola, mentre l’oscuramento costituisce l’eccezione, ammissibile solo in presenza di motivi legittimi debitamente documentati e valutati dall’autorità giudiziaria.
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