Sospensione per l’avvocato mediatore che ha sede dell’organismo di mediazione presso il proprio Studio. Basta l’ingresso comune, infatti, a creare una sovrapposizione di ruoli che il codice deontologico cerca proprio di evitare.
Questo è quanto chiarito dalla Cassazione, Sezioni unite, con la sentenza 25440/2023, che conferma la decisione presa dal Cnf.
Il Consiglio di disciplina di Messina aveva sottolineato come il «disvalore scritto alla coincidenza ovvero contiguità tra sede dell’organismo di mediazione e sede dello studio legale derivava dalla necessità di evitare anche la mera apparenza di una commistione di interessi, di per sé sufficiente a far dubitare dell’imparzialità dell’avvocato mediatore».
Secondo la Suprema corte, la decisione del Cnf ha rilevato anche che «la mera contiguità spaziale possa costituire un fattore sufficiente a far dubitare i terzi dell’imparzialità e dell’indipendenza dell’avvocato-mediatore. L’apparente commistione di interessi è idonea a ledere l’immagine della professione e dell’istituto della mediazione».
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Si era espressa in questi termini anche la circolare illustrativa 24/2011 del Cnf, oltre al Ministero della Giustizia, con circolare del 27 novembre 2013: «La contemporanea qualifica di mediatore e di avvocato, l’obbligatorietà dell’assistenza legale nella c.d. mediazione obbligatoria, la necessità comunque dell’assistenza legale nella mediazione facoltativa per addivenire alla formazione immediata del titolo esecutivo (art.12), il regime di autonomia in materia di formazione e aggiornamento riconosciuto agli avvocati, costituiscono indici normativi che – nel delineare un regime speciale riservato dal legislatore all’avvocato-mediatore – pongono l’esigenza di alcune indicazioni, funzionali ad evitare profili di sovrapposizione tra l’esercizio della professione forense e lo svolgimento dell’attività di mediatore».
L’articolo 55 comma 4 del codice deontologico forense vieta all’avvocato di far coincidere l’organismo di mediazione presso il suo studio o viceversa; ciò al fine di escludere che vengano sovrapposti i ruoli, tutelando l’immagine imparziale del mediatore-avvocato.
Lo svolgimento imparziale dell’attività di mediazione, conclude la Cassazione, è un dovere del mediatore, rispetto alle parti del procedimento di mediazione, come stabilito dall’art. 4 del regolamento di cui al dm 180/2010, che stabilisce i criteri necessari per l’iscrizione al registro degli organismi, stabilendo anche come l’autorità vigilando debba verificare che ci siano le «le garanzie di indipendenza e imparzialità».
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