«A poche settimane dall’entrata in vigore di gran parte delle norme che regolano il nuovo processo civile, oltre ad essere evidenti i denunciati difetti di coordinamento tra le fonti, è emersa in maniera chiara l’attuale inadeguatezza di strutture e di risorse».
Questo è quanto affermato dalla Presidente del CNF, Maria Masi, durante il discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario, che ha visto la presenza di Sergio Mattarella, il Presidente della Repubblica.
Spiega Masi: «Nel processo civile l’esercizio dell’attività di difesa rischia di essere e di diventare ancora più marginale, esposta irragionevolmente ad essere giudicata temeraria. Riti disseminati di decadenze, oneri, spettri di inammissibilità rendono l’ambito di operatività inquinato da troppe variabili».
Continua: «Nel penale il rischio è ancora più grande, soprattutto in tema di impugnazioni, quando legittimamente il difensore esigerà di esercitare in pieno e fino in fondo il suo mandato che consiste appunto nell’esercizio del diritto di difesa. Oltre e al di là dei contenuti è proprio l’approccio concettuale, il tema ideologico sotteso alle riforme che non può essere condiviso, come abbiamo rappresentato e denunciato in tutte le occasioni utili e anche in quelle (non poche) inutili».
Per Masi, dunque, «sarebbe stato quindi non solo più efficace, ma anche simbolicamente importante se i protagonisti della giurisdizione, Magistratura e Avvocatura insieme, e perché no, la componente amministrativa, avessero comunicato in maniera forte e chiara il proprio dissenso nei confronti di interventi scarsamente rimediari e certamente non risolutori».
«Sia l’avvocatura che la magistratura presente ai tavoli», sottolinea Masi, «hanno poi subito il disagio di doversi esprimere su progetti sensibilmente diversi da quelli licenziati dalle commissioni a cui, seppur in minima parte, avevano dato il loro contributo».
«Abbiamo sprecato tempo prezioso nel rimettere in discussione quello che dovrebbe essere immanente al tessuto costituzionale e alla natura delle nostre diverse ma complementari funzioni. L’avvocatura che esprime un parere in seno ai consigli giudiziari ha allarmato più del rischio di fallimento delle riforme, e di non conseguimento degli obiettivi a cui siamo vincolati e attinti».
Se avesse voluto, l’Avvocatura «avrebbe potuto manifestare, in maniera forse più eclatante e certamente più efficace, il proprio dissenso nei confronti di una riforma peggiorativa del già difficile stato in cui versa la Giustizia, revocando o facendo venir meno la sua disponibilità a contribuire in maniera tangibile ed evidente alla sostenibilità della stessa».
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Afferma Masi durante la sua relazione: «L’anno trascorso, appena compiuto, per la nostra Giustizia, come è noto, è stato caratterizzato da tanti ostacoli che hanno minato e incrinato il già precario rapporto di fiducia con i cittadini, reso complesso il rapporto tra gli operatori di Giustizia, quale funzione pubblica, soprattutto in relazione ai poteri dello Stato».
Sono stati imposti tempi, limiti, obiettivi, «in nome di una sovranità, certamente legittima ma eccessivamente astratta, autorevole ma a tratti apparsa autoritaria», dice la presidente del CNF, «utilizzando fin troppo lo strumento certamente poco incline alla concertazione della decretazione d’urgenza che di fatto ha ridimensionato, o peggio contratto, sia la discussione sia una serena valutazione delle conseguenze e soprattutto dei rischi a cui è stata esposta la Giustizia nel suo insieme».
Eppure, non con poche difficoltà. «abbiamo tentato di non smarrire l’attenzione e la cura che si deve al diritto. Il diritto a chiedere Giustizia, ancor prima del diritto ad ottenerla non può, infatti, considerarsi avulso dal principio di uguaglianza sostanziale tra i cittadini, ai quali vanno assicurate pari ed eque opportunità di accesso alla giurisdizione e di tutela piena e indiscriminata».
Interviene anche Fabio Pinelli, vice presidente del CSM. «Auspico che magistrati ed avvocati abbandonino ogni forma di autoreferenzialità». Sottolinea, inoltre, il ruolo di servizio che avvocati e magistrati svolgono nei confronti del “giusto processo” che prevede la Costituzione.
«L’Avvocatura ricordi sempre che il sacrificio, con il prezzo delle loro vite, di Falcone, Borsellino, Chinnici, Livatino e di tanti altri, è stato compiuto per il perseguimento di un interesse generale dello Stato, per la tutela dei suoi valori democratici di legalità».
Sottolinea Pinelli come «avvocati e magistrati devono legittimarsi reciprocamente. Il campo della comunicazione dev’essere prudentemente affrontato degli operatori del diritto, ancora una volta per il bene comune della tutela della credibilità e dell’autorevolezza di tutti gli attori della giustizia. I valori in gioco nell’amministrazione della giustizia sono preziosi e devono essere preservati da un improprio trattamento mediatico».
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