Il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile un ricorso per aver superato il numero massimo dei caratteri consentiti per fare appello. La IV Sezione, con la sentenza n. 8928, afferma che il giudice non possiede la facoltà per poter esaminare le questioni presenti oltre il limite previsto per le pagine.
Il Tar, in primo grado, aveva respinto e dichiarato inammissibile il ricorso per una lottizzazione. Dopo aver proposto un appello con uno scritto di 87 pagine, la Camera di consiglio ha constatato la violazione degli art. 3 c.p.a. e 13-ter allegato II al c.p.a. poiché erano stati superati i limiti massimi.
Il Collegio afferma che il ricorso ha superato i limiti dimensionali che servono per consentire «lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con i principi di sinteticità e chiarezza». Le parti devono infatti redigere il ricorso e altri atti difensivi in base ai criteri e ai limiti dimensionali stabiliti.
Secondo l’art.3 del decreto del 22 dicembre 2016, nei ricorsi ordinari sono consentiti al massimo 70.000 caratteri.
«Al netto dell’epigrafe e delle ulteriori parti escluse (…), il numero massimo di 70.000 caratteri consentiti (…) risulta utilizzato ed esaurito a p. 52 del ricorso», prosegue la decisione. «Il Collegio non è tenuto ad esaminare quale sanzione prevista dal legislatore per i casi di violazione del principio di sinteticità degli atti processuali previsto dall’art. 3 c.p.a.».
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Secondo quest’ultimo, «il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L’omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione».
Di conseguenza, il ricorso, «in presenza di motivi di appello che il collegio non è tenuto ad esaminare diviene inammissibile perché, in relazione ad una parte essenziale per l’identificazione della domanda – richiesta dall’art. 44, comma 1, lett. b) c.p.a. a pena di nullità -, viene meno l’obbligo di provvedere e con esso la stessa possibilità di esame della domanda».
Con la decisione n. 8487 del 22 settembre 2023, «secondo la più corretta esegesi, tale previsione non lascia al giudice la facoltà di esaminare o meno le questioni trattate nelle pagine successive al limite massimo, ma, invece, in ossequio ai principi di terzietà e imparzialità, obbliga il giudice a non esaminare le questioni che si trovano oltre il limite massimo di pagine».
Chiarisce la giurisprudenza amministrativa: «Il superamento dei limiti dimensionali è questione di rito afferente all’ordine pubblico processuale, stabilito in funzione dell’interesse pubblico all’ordinato, efficiente e celere svolgimento dei giudizi, ed è rilevabile d’ufficio a prescindere da eccezioni di parte. Il rigoroso rispetto dei limiti dimensionali costituisce attuazione del fondamentale principio di sinteticità (art. 3 c.p.a.), a sua volta ispirato ai canoni di economia processuale e celerità».
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