Linee più severe contro il revenge porn. È soggetto a condanna per violenza sessuale consumata anche chi ricatta online la vittima al fine di ottenere immagini di autoerotismo, anche senza aver avuto contatti fisici.
Lo dice Suprema Corte, terza sezione penale, con sentenza n. 10692 del 14/03/2024, che conferma la condanna per un uomo che aveva ricattato una giovane per entrare in possesso di immagini mentre si masturbava ad un anno e quattro mesi di reclusione.
La difesa aveva sostenuto che la violenza sessuale non era stata in alcun modo consumata. La Corte d’Appello, secondo il legale, non aveva attestato di aver ottenuto le immagini intime della persona offesa, autoprodotte da lei e inviate a lui in un rapporto telematico consenziente.
L’imputato avrebbe costretto la ragazza a mandare altre foto, e lei, per timore, avrebbe acconsentito. La giovane sarebbe stata costretta anche all’invio di video in cui era intenta in atti di autoerotismo.
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La tesi è stata successivamente confermata dal Palazzaccio, terza sezione penale (art. 609-quater cod. pen.). Al fine del reato di violenza, non si parla soltanto del caso in cui gli atti siano stati praticati con costrizione dall’agente a terzi, ma anche nel caso in cui l’offesa sia stata costretta a praticarli su sé stessa.
Dunque, non si ritiene necessario il contatto fisico tra vittima e agente per configurare il reato di violenza.
Non si può negare la possibilità di realizzazione del reato per via telematica, mediante l’utilizzo di telefoni, videochiamate e chat per costringere l’offesa a compiere atti sessuali contro la sua volontà nonostante questi non comportino contatti fisici diretti con l’agente.
L’uomo è stato condannato ad un anno e mezzo di reclusione, e la Procura generale a richiesto di rendere la condanna definitiva.
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