ROMA — Le urne semi-deserte e l’affluenza ai minimi storici spingono il governo e la maggioranza a ragionare su un possibile giro di vite per il sistema dei referendum abrogativi. L’ipotesi che circola nelle ultime ore è quella di aumentare il numero minimo di firme richieste, soprattutto per quelle raccolte online, e introdurre una sorta di selezione preventiva dei quesiti da sottoporre al voto popolare.
Una riflessione inevitabile alla luce del flop annunciato delle consultazioni referendarie di queste ore, con il rischio concreto che il quorum resti lontano e i quesiti vengano archiviati senza scalfire il quadro politico. Una prospettiva che il centrodestra osserva con favore, mentre il governo si prepara a gestire le ricadute.
Diversi esponenti della maggioranza, dal vicepremier Tajani al leader della Lega Salvini, hanno già rilanciato la necessità di rivedere i meccanismi di accesso ai referendum, resi più semplici dalla possibilità di raccogliere le firme in digitale grazie a una piattaforma attivata solo di recente. «Uno strumento utile — riconoscono da Forza Italia — ma serve trovare un equilibrio per evitare un’inflazione di quesiti che rischiano di trasformarsi in consultazioni di scarso interesse e bassa partecipazione».
Tra le proposte sul tavolo, quella di alzare la soglia attualmente fissata a 500mila firme, spostandola forse verso quota un milione, e di introdurre una verifica preventiva di ammissibilità e rilevanza dei quesiti, per evitare che le urne vengano riaperte ogni anno per referendum destinati al fallimento.
Il primo banco di prova per queste possibili modifiche sarà l’autunno, con le prossime elezioni regionali e, più avanti, con una verifica sugli effetti reali della raccolta firme online, che ha già evidenziato criticità. Intanto, la premier Meloni osserva il quadro con cautela, consapevole che anche tra gli elettori del centrodestra la voglia di recarsi al seggio si è fatta flebile, mentre la politica continua a interrogarsi sul futuro degli strumenti di democrazia diretta.
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