Il prestanome non è mai davvero al riparo. Con la sentenza n. 17283, depositata l’8 maggio 2025, la Terza sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato un principio ormai consolidato in materia di reati tributari: l’amministratore di diritto di una società, anche se privo di effettivi poteri gestionali e operativo solo sulla carta, resta direttamente responsabile per i reati dichiarativi commessi in qualità di rappresentante legale.
La vicenda riguardava la condanna, già confermata in appello, di un amministratore formale di una società, chiamato a giudizio insieme a un amministratore di fatto (giudicato separatamente) per una dichiarazione fraudolenta. La difesa aveva tentato di far valere la qualifica di mero prestanome, sottolineando la sostanziale estraneità ai fatti e l’assenza dal territorio italiano durante le fasi gestionali decisive. Un’argomentazione che non ha convinto né i giudici di merito né la Suprema Corte.
Secondo la Cassazione, infatti, il ruolo di amministratore di diritto comporta precisi obblighi di legge, tra cui quello di firmare le dichiarazioni fiscali della società. E poco importa che l’effettiva gestione sia stata nelle mani di un altro soggetto: a meno che il rappresentante legale non dimostri di essersi diligentemente informato sulla reale conduzione della società e sull’attendibilità delle scritture contabili, resta pienamente responsabile per gli illeciti tributari.
Un orientamento, quello ribadito nella pronuncia, in linea con precedenti sentenze che avevano già chiarito come, in materia di dichiarazioni fiscali infedeli o fraudolente, il firmatario dell’atto fiscale sia considerato autore principale, e non responsabile per mera omissione di vigilanza.
Nel caso specifico, il Procuratore Generale aveva evidenziato come fosse stato proprio il ricorrente a sottoscrivere la dichiarazione fraudolenta, e che la sua presunta assenza dall’Italia e mancata partecipazione all’assemblea di approvazione del bilancio non potessero valere come scusanti. La Cassazione ha condiviso questa impostazione, aggiungendo che il ricorrente non aveva neppure fornito la prova di aver vigilato sull’attività societaria o di essersi accertato della veridicità delle fatturazioni dichiarate, alcune delle quali relative a operazioni inesistenti.
Il messaggio è chiaro: rivestire formalmente un incarico societario comporta oneri specifici e non consente di sottrarsi alle conseguenze penali invocando un ruolo di pura facciata. Anche nella complessa realtà delle società gestite di fatto da terzi, la legge attribuisce precise responsabilità all’amministratore di diritto, che resta tenuto a rispondere dei reati dichiarativi, salvo che non dimostri di avere assunto, con diligenza, tutte le informazioni necessarie per garantire la regolarità fiscale della gestione.
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