Un dipendente può essere licenziato per fatti privati che compromettono la fiducia del datore di lavoro, soprattutto se tali azioni sono di rilievo penale. La Corte di Cassazione ha recentemente ribadito questa linea con una sentenza emessa nel maggio 2024, che conferma la possibilità di interrompere il rapporto di lavoro per condotte extralavorative che violano obblighi di lealtà o incidono sull’idoneità professionale.
Nel caso specifico, un lavoratore è stato condannato a due anni e tre mesi di reclusione per maltrattamenti in famiglia e lesioni abituali. La Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento, poiché la condotta, pur svolgendosi fuori dal contesto lavorativo, era tale da compromettere la fiducia del datore di lavoro. L’azienda, infatti, è responsabile di garantire l’idoneità morale e professionale del proprio personale, in particolare per quei dipendenti che operano a contatto con il pubblico.
La giurisprudenza si è evoluta negli ultimi anni: in passato, i giudici avevano adottato un orientamento meno uniforme, talvolta respingendo l’applicazione della giusta causa per comportamenti privati. Ad esempio, nel 2018, la Cassazione aveva escluso il licenziamento per maltrattamenti in famiglia in assenza di ricadute dirette sul rapporto lavorativo.
Oggi, invece, la Corte adotta un approccio più rigoroso: la condotta extralavorativa viene valutata tenendo conto della sua gravità e della sua frequenza, nonché del possibile danno all’immagine dell’azienda o alla fiducia nel lavoratore. Recenti sentenze confermano questa tendenza, come nel caso di un dipendente licenziato per spaccio di sostanze stupefacenti o di un altro accusato di gravi minacce a soggetti estranei all’ambiente lavorativo.
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