Nell’ambito del processo tributario, i messaggi di WhatsApp sono privi di fondatezza probatoria
A differenza degli sms, i messaggi WhatsApp non sono archiviati tramite memorizzazione dalle società telefoniche. In effetti, essi vengono archiviati sul singolo dispositivo: di loro non rimane traccia su alcun supporto informatico, né figurativo. Da qui, la sentenza n.105/2021, in cui viene sancita l’inutilizzabilità della messaggistica WhatsApp nel giudizio tributario.
La Commissione Tributaria dichiara che in giudizio, i messaggi WhatsApp sono inutilizzabili
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Reggio Emilia. Succede che un cittadino ricorra contro l’Agenzia delle Entrate per un avviso di accertamento a fini Iva relativo al 2016. Nello specifico, l’Agenzia sostiene che il ricorrente sia l’amministratore di fatto e non di diritto di una società poi dichiarata fallita. Infatti, tale qualifica si manifesterebbe nella messaggistica scambiata con gli uffici amministrativi di detta società in merito alle modalità di consegna e pagamenti di forniture.
Quindi, il cittadino ricorre sostenendo illegittimo l’utilizzo dei messaggi WhatsApp: a suo dire, privi di concreta fondatezza probatoria. Dunque, alla sua richiesta d’annullamento dell’atto impugnato, segue la costituzione in giudizio dell’Agenzia, che contesta le doglianze della controparte. Quindi, la Commissione si pronuncia accogliendo il ricorso per fondata inutilizzabilità dei messaggi WhatsApp: essendo archiviati esclusivamente sul dispositivo telefonico, essi non lasciano traccia.
Infine, la Commissione considera infondata anche la tesi che vede il ricorrente amministratore di fatto della società. Infatti, anche considerando la messaggistica WhatsApp e la qualifica di amministratore di fatto, sul ricorrente non graverebbero responsabilità solidali per le sanzioni societarie. Concetto confermato anche da disposizioni di legge e pronunce della Cassazione, applicabile a tutte le società non costituite a fini illeciti.
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