La Corte Costituzionale (con sentenza n. 41/2023) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 411, comma 1-bis, del codice di procedura penale, che non prevede l’obbligo per il pubblico ministero di avvisare l’indagato in caso di richiesta di archiviazione per prescrizione del reato.
Il caso
Un cittadino era venuto a conoscenza di un decreto di archiviazione per prescrizione che lo descriveva come colpevole, pur non avendo mai avuto la possibilità di difendersi. Il Tribunale di Lecce aveva sollevato la questione di illegittimità costituzionale, chiedendo di estendere all’archiviazione per prescrizione la disciplina prevista per l’archiviazione per tenuità del fatto, che prevede l’avviso all’indagato.
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La decisione
La Corte ha ritenuto che il diritto di rinunciare alla prescrizione non debba necessariamente essere riconosciuto a chi sia ancora sottoposto a indagini preliminari, in quanto l’ipotesi di reato non è stata ancora fatta propria dal pubblico ministero.
Tuttavia: la Corte ha sottolineato che un provvedimento di archiviazione per prescrizione che presenta l’indagato come colpevole è illegittimo, in quanto viola il principio di presunzione di non colpevolezza e il diritto di difesa.
Cosa succede in questi casi?
- L’indagato può comunque difendere la propria reputazione con strumenti come la denuncia per calunnia o diffamazione, o l’azione di risarcimento del danno.
- Gli elementi raccolti dal pubblico ministero durante le indagini possono essere utilizzati in altri procedimenti, ma l’interessato avrà la possibilità di difendersi e presentare prove contrarie.
- Provvedimenti di archiviazione che esprimono giudizi di colpevolezza possono esporre il magistrato a responsabilità civile e disciplinare.
La Corte conclude affermando che è necessario assicurare all’indagato la possibilità di un ricorso effettivo contro questi provvedimenti illegittimi.
Rosa Colucci
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