Il detenuto che si veda negare un permesso per gravi motivi familiari avrà più tempo per presentare reclamo. Lo ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza n. 78 depositata il 3 giugno 2025, dichiarando illegittima la norma che finora imponeva un termine di appena 24 ore per impugnare il diniego.
La questione era stata sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Sassari nel corso di un procedimento in cui un detenuto aveva chiesto di poter fare visita alla sorella gravemente malata. La richiesta era stata respinta e il reclamo presentato subito, riservandosi però di indicare i motivi in un secondo momento, dopo aver avuto accesso ai documenti medici. La normativa vigente — l’articolo 30-bis dell’ordinamento penitenziario — imponeva però un termine di appena un giorno dalla comunicazione del provvedimento, ritenuto dal giudice remittente troppo breve per garantire il pieno esercizio del diritto di difesa.
La Consulta ha accolto i dubbi di costituzionalità, rilevando come in un tempo così ristretto il detenuto difficilmente possa contattare un avvocato e procurarsi la documentazione necessaria a motivare efficacemente il proprio reclamo. Un termine tanto limitato, secondo i giudici costituzionali, si pone in contrasto con l’articolo 24 della Costituzione, che tutela il diritto di ogni persona di difendersi in giudizio.
Ricalcando una precedente decisione presa nel 2020 sui permessi premio, la Corte ha dunque equiparato anche in questo caso il termine per il reclamo a quello previsto in via generale dall’articolo 35-bis dell’ordinamento penitenziario: quindici giorni. Resta salva la possibilità per il legislatore di individuare un termine diverso, a patto che sia compatibile con la tutela effettiva del diritto di difesa.
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