Le ripetute operazioni di saldo e stralcio dei contributi previdenziali non versati fino al 2015 hanno lasciato un segno profondo nei conti dell’INPS: un buco da 6,6 miliardi di euro, che dovrà ora essere ripianato dallo Stato per garantire in futuro il pagamento delle pensioni.
L’allarme arriva dal Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’INPS, che ha approvato una delibera sui «riaccertamenti dei residui attivi e passivi al 31 dicembre 2023». Il Civ, presieduto da Roberto Ghiselli, ha chiesto agli organi istituzionali — in primis il Governo — di garantire interventi compensativi a carico della fiscalità generale, ovvero dei contribuenti, per evitare che gli oneri futuri ricadano sull’ente previdenziale.
Le cancellazioni dei contributi evasi, decise dai governi Conte (2018), Draghi (2020) e Meloni (2022), hanno comportato la rinuncia a crediti per oltre 18 miliardi di euro, di cui 15 miliardi solo nel 2024. Di questi, i condoni del 2021 e 2022 avrebbero generato effetti diretti sulle gestioni pensionistiche dei lavoratori dipendenti, secondo quanto evidenziato anche dalla Commissione Entrate ed Economico-Finanziaria del Civ.
A sollevare la questione anche il capogruppo del Partito Democratico al Senato, Francesco Boccia, che annuncia un’interrogazione parlamentare:
«Lo stralcio dei crediti fino a mille euro, relativi al periodo 2000-2015, introdotto dalla prima manovra del Governo Meloni, da solo vale 9,9 miliardi. Il Governo deve chiarire come intende coprire il costo delle prestazioni future».
Non si è fatta attendere la replica del sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, che ha respinto le accuse parlando di «allarme infondato» e di «abbaglio» da parte di chi considera un danno alla collettività la cancellazione di vecchie posizioni contributive, alcune risalenti a oltre 25 anni fa, per importi fino a 5.000 euro.
Ma per il Civ dell’INPS la questione resta seria: senza coperture certe e interventi strutturali, i conti del sistema previdenziale rischiano di trovarsi esposti a squilibri futuri.
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