Secondo Carlo Nordio, la corruzione non si combatte con pene più alte, oppure lavorando sull’applicazione tempestiva della pena e su un processo più veloce.
Per Nordio, servono meno leggi. Poi, bisogna incentivare anche la collaborazione con il mondo della giustizia, garantendo l’impunità alle persone che hanno pagato mediante «una profonda revisione del reato di corruzione».
Secondo il ministro della Giustizia, «inasprire le pene e creare nuovi reati non serve a nulla». Anzi: «è inutile cercare di intimidire il potenziale corrotto con l’inasprimento delle pene, sarà sempre convinto di farla franca, non si tratta di intimidirlo ma di disarmarlo».
«Le armi», continua Nordio, «sono le leggi. La soluzione è una delegiferazione rapida e radicale, ridurre le leggi e semplificare le procedure». L’Italia, ricorda Nordio, «ha una produzione normativa dieci volte superiore alla media europea».
Dunque, «non è un caso che anche la percezione della corruzione nel nostro Paese sia dieci volte superiore alla media europea». Più leggi ci sono, dice Nordio, più confusione ci sarà nell’individuazione di competenze e procedure.
«Se una persona deve bussare a 100 porte, invocando 100 leggi per ottenere un provvedimento, aumenta in modo esponenziale la possibilità che una porta resti chiusa. Sinché qualcuno si presenterà dal cittadino che bussa e gli chiederà o gli imporrà di ungere la serratura. Di qui l’importanza di una delegificazione, dell’individuazione chiara delle competenze e della semplificazione delle procedure».
Soltanto in questo modo «il potenziale corruttore sarà disarmato. Se quel provvedimento non sarà emanato in modo corretto si saprà di chi è la colpa e quali procedure sono state violate».
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È necessaria una maxi semplificazione normativa, secondo Nordio, per combattere la corruzione. «Il reato di corruzione si consuma nell’ombra, non lascia traccia, perché le mazzette non si pagano con bonifico bancario, e avviene senza testimoni».
Corruttore e corrotto «sono entrambi punibili e entrambi hanno interesse a tacere quando vengono interrogati».
La storia giudiziaria italiana, tuttavia, dimostra come la collaborazione dei corruttori abbia portato alle richieste principali per quanto riguarda le mazzette (si pensi a Tangentopoli). Dunque, il ministro insiste proprio su questo punto: «bisogna interrompere la cointeressenza a tacere di corrotto e corruttore e fare in modo che uno dei due collabori, altrimenti la corruzione è un reato di cui non si avrà mai la dimostrazione».
Ma non bisogna ricorrere alla «carcerazione preventiva per indurre una persona a parlare, altrimenti cadremmo nella barbarie giuridica». Per Nordio, bisogna far sì che «chi ha pagato sia indotto a collaborare attraverso l’impunità».
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