5 Agosto 2025 - ATTUALITA' | Governo

Meloni irritata per l’indagine sul caso Almasri: “Non si governa a mia insaputa”

Dopo l’archiviazione a suo carico e il coinvolgimento di tre membri del governo, la premier rompe il silenzio. Rabbia per un messaggio politico ritenuto delegittimante. Il centrodestra teme un allargamento dell’inchiesta

La premier Giorgia Meloni non ha nascosto la sua irritazione. Lo ha fatto sapere a La Stampa, dopo la notifica di archiviazione ricevuta per il caso Almasri, l’indagine legata alla gestione del criminale libico arrestato in Italia e poi riconsegnato alle autorità di Tripoli. Una vicenda che, pur non avendo conseguenze dirette per lei, coinvolge tre figure centrali del governo – i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano – generando una tensione politica palpabile a Palazzo Chigi.

Secondo la ricostruzione riportata da La Stampa, la premier avrebbe appreso formalmente la notizia già prima di volare ad Ancona per un impegno istituzionale. L’avvocata Giulia Bongiorno, che rappresenta Meloni ed è anche senatrice, le avrebbe notificato il documento appena depositato in cancelleria. Il clima all’interno del governo, da quel momento, è diventato più teso.

Il nodo politico: un messaggio che divide

La questione giudiziaria è solo un lato della medaglia. L’altro, ben più sensibile per Meloni, riguarda l’implicito messaggio politico che emergerebbe dalla decisione del Tribunale dei ministri: l’idea che alcuni membri dell’esecutivo possano aver agito in autonomia, senza il coordinamento della presidente del Consiglio. Un’ipotesi che, secondo ambienti vicini alla premier, suonerebbe come un tentativo di delegittimazione istituzionale.

A Palazzo Chigi, infatti, viene ribadito che ogni decisione governativa, soprattutto in materia di sicurezza, è sempre stata il frutto di una linea condivisa. La distinzione operata dai giudici – archiviazione per la premier, possibile autorizzazione a procedere per altri tre esponenti dell’esecutivo – è percepita come una forzatura, e forse anche come un tentativo di minare la compattezza dell’azione di governo.

Strategie in evoluzione e un iter ancora incerto

Fino a pochi giorni fa, tra i vertici istituzionali si dava per scontato che l’unico destinatario di un eventuale procedimento parlamentare sarebbe stato il ministro della Giustizia. L’estensione del coinvolgimento anche a Piantedosi e Mantovano ha rimesso tutto in discussione. Il governo si trova ora a gestire uno scenario più complesso, anche dal punto di vista comunicativo, con il rischio che la vicenda si protragga ben oltre le previsioni.

L’iter prevede che, dopo la richiesta di autorizzazione a procedere, la Giunta parlamentare competente abbia trenta giorni di tempo per esprimere un parere. La relazione approderà poi in Aula, dove si voterà a scrutinio segreto e con maggioranza assoluta. Un percorso che, di fatto, rende impossibile una chiusura immediata della partita.

Nel frattempo, la premier ha annunciato l’intenzione di presenziare personalmente in Aula al momento del voto, un gesto che mira a rafforzare la coesione politica e a riportare l’attenzione sulla guida unitaria del governo. Ma restano le incertezze legate al possibile ampliamento del fascicolo giudiziario.

Il rischio dell’allargamento dell’indagine

Nelle file della maggioranza si guarda con preoccupazione al passaggio successivo: gli atti del Tribunale dei ministri passeranno ora alla Procura di Roma, guidata da Francesco Lo Voi, già oggetto di critiche da parte di alcuni esponenti del centrodestra. Il timore è che, sulla base della documentazione trasmessa, possano emergere nuovi elementi che allarghino il perimetro dell’indagine.

Tra i nomi sotto osservazione ci sarebbe anche quello della capo di Gabinetto del ministero della Giustizia, Giusi Bartolozzi. Alcuni sospettano che abbia agito in modo autonomo nella gestione dell’arresto e del trasferimento del cittadino libico, bypassando il ministro Nordio. L’episodio, se confermato, potrebbe aprire un fronte interno al dicastero di via Arenula, con possibili richieste di dimissioni.

Una vicenda giudiziaria dal peso politico crescente

Nonostante la probabilità che il Parlamento blocchi ogni autorizzazione a procedere, la questione resta aperta sul piano politico e istituzionale. La decisione di archiviare solo per Meloni, escludendola dal potenziale processo, non sembra aver alleggerito le tensioni, ma al contrario le ha amplificate. Se da un lato rafforza la posizione della premier, dall’altro offre appigli alle opposizioni e alimenta il sospetto – diffuso nella maggioranza – di una possibile strumentalizzazione giudiziaria.


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