24 Aprile 2020

livelli occupazionali e accordi sindacali

Livelli occupazionali e accordi sindacali: la pesante clausola del Decreto Liquidità

Il D.L. 23/2020 «Decreto Liquidità» ha sollevato non poche perplessità dato che, più che vere e proprie forme di sostegno economico alle aziende, propone nuove forme di indebitamento.

Infatti, con il decreto lo Stato offre garanzie alle banche che concedono finanziamenti a quelle aziende che si impegnano a rispettare alcune condizioni.
Una di queste è l’obbligo di non distribuire dividendi per i successivi 12 mesi e di usare il finanziamento per coprire i costi del personale e le spese per le attività produttive localizzate in Italia. (cfr. Art. 1, comma 2, D.L. 23/2020).

C’è però un’altra condizione, molto più pesante, che è passata decisamente in secondo piano e che invece le aziende, soprattutto le più piccole, dovrebbero considerare con molta attenzione prima di richiedere un finanziamento superiore ai 25.000 euro.

La condizione viene così presentata: «L’impresa che beneficia della garanzia assume l’impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali” (cfr. Art. 1, comma 2, lett. l, D.L. 23/2020)».

GLI ACCORDI SINDACALI DIVENTANO OBBLIGATORI PER GESTIRE I LIVELLI OCCUPAZIONALI

Lo spunto per questo articolo è nato leggendo il post che l’Avv. Chiara Daneluzzi dell’Ordine di Venezia ha pubblicato sul suo profilo LinkedIn.

L’avvocato suggerisce che questa clausola possa rivelarsi un’insidia, anzi «una mina anti uomo» per le aziende:
«gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali […] equivale a dire che l’eventuale mancato rispetto di tale impegno (o, mi viene da pensare, anche solo il mancato raggiungimento di un accordo, eventualità non così rara) può costituire, oltre che causa di revoca della garanzia circa il prestito, motivo di annullamento del o dei licenziamenti. Il rispetto della condizione, invece, equivale alla perdita di fatto del controllo dell’azienda. Per cui l’azienda, già evidentemente in condizione di difficoltà, sarà di fatto costretta a negoziare in condizione di ricattabilità. Non esattamente quello che occorre, in una situazione di emergenza».

La clausola impone che le aziende (ma anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti) che vogliono ottenere il finanziamento debbano preventivamente discutere con i sindacati la gestione della forza lavoro impegnandosi in questa gestione condivisa per tutta la durata del prestito.

Significa che un imprenditore non potrà apportare nessuna modifica alla forza lavoro?
Non proprio. Ma dovrà sempre passare attraverso la valutazione dei sindacati, anche se si trattasse solo di una rimodulazione degli orari lavorativi per far fronte alle nuove condizioni generate dal Coronavirus (es.: il passaggio da full-time a part- time).

Questo limite alla libertà aziendale rischia di complicare la vita alle aziende più piccole, con meno di 15 dipendenti, meno abituate a gestire il personale tramite i sindacati. Ciò comporterebbe un «appesantimento e un ostacolo nella gestione futura delle attività, oltre a rappresentare un rallentamento inevitabile per l’ottenimento della liquidità in giorni così convulsi». [vedi fonte della citazione]

Inoltre, come già suggerito dall’Avv. Daneluzzi, il mancato rispetto della clausola farebbe piombare l’imprenditore nella sgradevole situazione di dover restituire alla banca il finanziamento, poiché decadrebbe la garanzia statale.

UNA CLAUSOLA NEBOLUSA

In realtà, la clausola così come presentata nel Decreto manca di precisazioni chiare.
Il rischio è quindi che molte aziende, prese dall’urgenza di ottenere liquidità che le faccia ripartire in questo momento di crisi, accettino senza una vera consapevolezza la gestione condivisa con i sindacati.

Secondo Stucchi& Partners la clausola potrebbe significare quanto segue:

– le condizioni del Decreto Liquidità ricadono solo sui nuovi crediti e non su quelli già concessi (al massimo, su quelli già scaduti);

– in sede di istruttoria, le aziende dovranno presentare (almeno) una dichiarazione coerente con la condizione di impegno alla negoziazione sindacale dei livelli occupazionali, mentre non saranno obbligate ad allegare immediatamente un accordo sindacale;

l’impegno potrà essere fatto valere sia dai sindacati che dai lavoratori coinvolti qualora l’azienda dovesse violarlo;

– gli accordi sindacali potranno essere conclusi con i sindacati territoriali o anche con le RSA/RSU;

ogni intervento di riduzione dei livelli occupazionali già in essere al momento della richiesta del nuovo credito alle condizioni indicate dal decreto Liquidità dovrà essere sottoposto alla valutazione sindacale;

– sembrerebbe che l’accordo sindacale non sia richiesto in caso di rapporti di lavoro a termine o in somministrazione, trattandosi di lavoro che esula dalla stabile struttura occupazionale di un’azienda;

– lo stesso sembrerebbe valere per interventi individuali, come i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, che non rientrano nei negoziati sindacale e che sono coperti da una normativa apposita e già esistente;

le aziende intenzionate a richiedere il credito non possono prendere decisioni unilaterali sugli assetti del personale così come si configura al momento della richiesta.

LA TUTELA DELLA FORZA LAVORO

COVID-19 ha colpito la capacità produttiva e i mercati di riferimento di molte aziende. In un tale scenario non è solo importante sostenere l’imprenditoria, ma anche salvaguardare i livelli occupazionali presenti e futuri.

Ed è proprio questo lo scopo della clausola sugli accordi sindacali.

Sempre a favore della salvaguardia dei livelli occupazionali si era già mosso il precedente D.L. 18/2020 «Cura Italia» che aveva predisposto il blocco dei licenziamenti collettivi e individuali per tutte le aziende e per sessanta giorni, dal 17 marzo al 16 maggio 2020.
Lo stesso Decreto aveva poi esteso la cassa integrazione in deroga, rendendo possibile l’attivazione degli ammortizzatori sociali anche per le imprese con meno di 5 dipendenti.

 

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