3 Febbraio 2020

inaugurazione dell'anno giudiziario

L’inaugurazione dell’anno giudiziario da nord a sud

Il 31 gennaio 2020, in tutta Italia, le cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario si sono svolte tra insoddisfazioni e proteste, segnando un momento di analisi della giustizia locale e, di riflesso, dell’intero Paese.

A Milano, la presenza di Piercamillo Davigo è stata contestata sia fuori, dagli avvocati penalisti, che dentro, mentre Bonafede dichiarava che la prescrizione non è un modo per ridurre i tempi dei processi.

A Torino, il presidente della Corte di Appello Edoardo Barelli ha puntato il dito sul rapporto malsano tra giustizia e informazione.

Bologna, sono stati sollevati dubbi sul Codice Rosso, introdotto per proteggere le donne e che, per alcuni, sembra essere un ostacolo al corso della Giustizia.

A preoccupare Firenze la droga e le infiltrazioni mafiose.

A Napoli, gli avvocati hanno protestato contro la prescrizione indossando manette.

A Reggio Calabria, il procuratore Luciano Gerardis ha trovato il tempo, prima di sentirsi male, di sottolineare la carenza di risorse per far fronte alla situazione di una città che è «la capitale storica ed attuale» dell’ ‘ndrangheta.

Gli avvocati siciliani hanno manifestato il loro disappunto togliendosi le toghe ed esibendo il codice civile, mentre a Catania il presidente della Corte d’Appello Giuseppe Meliadò ha spiegato che «continua con grande efficienza e competenza l’attività di contrasto ai reati collegati al fenomeno dell’immigrazione clandestina, che, nonostante la contrazione dei flussi migratori, continua a incidere ancora sul distretto».

Roma, il presidente Luciano Panzani ha segnalato che nella capitale «è andato prescritto un reato su due», riferendosi al primo e al secondo grado, e che aumentano i casi di corruzione, i reati di natura sessuale e i problemi legati alla gestione illecita dei rifiuti.

LA GIUSTIZIA IN VENETO

Anche in Veneto la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario è servita a fare il punto della situazione.

I tribunali veneti si trovano ad affrontare una grande mole di lavoro: dall’aumento dei reati di associazione a delinquere, le infiltrazioni di camorra e ‘ndrangheta, l’aumento delle vittime sul lavoro e per incidenti stradali (ma la diminuzione degli omicidi volontari), fino alle vicende delle Banche Venete. Lo fanno in modo tutto sommato efficiente, ma non senza difficoltà a causa della mancanza di personale amministrativo e magistrati.

A tal proposito, la presidente della Corte di Appello di Venezia, Ines Maria Luisa Marini, ha dichiarato in un’intervista alla Tribuna di Treviso che «la scopertura ha ormai raggiunto dimensioni tali da condizionare la stessa attività giurisdizionale e generare disfunzioni in tutto il settore amministrativo».

L’INTERVENTO DEL PRESIDENTE MASCHERIN ALL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

Al di là delle singole situazioni locali, l’inaugurazione dell’anno giudiziario è stata l’occasione, come detto dal presidente del CNF Mascherin durante il suo intervento a Roma, per ricordare la centralità della giurisdizione in un sistema democratico.

Come aveva già avuto modo di spiegare durante il Convegno dedicato ai 70 anni del Consiglio d’Europa e ai 60 anni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo tenutosi a Venezia lo scorso dicembre 2019, la giurisdizione non è solo una funzione dello Stato ma anche una manifestazione dello stato di diritto e della società che lo compone.

Mascherin ha dichiarato che molti sono i soggetti responsabili della situazione della giurisdizione  (politica, magistrati, media, ecc.) e tutti dovrebbero ricordarsi dell’importanza della mediazione e della risoluzione secondo diritto dei conflitti tra cittadini e tra questi e lo Stato.

L’obiettivo comune dovrebbe essere la ricerca di un equilibrio collettivo, democratico e pacifico.

Sfortunatamente, l’immagine del processo si sta scostando da questo ideale a favore della semplificazione e della ricerca del consenso, ma «erodere il diritto di qualcuno, vuol dire erodere il diritto di tutti noi. Vuol dire far oscillare il pendolo della democrazia facendole perdere certezze e stabilità».

A conclusione del suo discorso, Mascherin ha sostenuto che nel processo penale non ci si può permettere l’indeterminatezza dei tempi: «sarebbe come se un chirurgo iniziasse un intervento e poi ci lasciasse sul tavolo operatorio senza sapere se e quando terminerà l’operazione».

Centrali sono quindi gli investimenti nella giustizia, ma va anche riscoperto l’uso della ragione e vanno recuperati la capacità di saper dubitare e di saper ascoltare.

 

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