Nuovo intervento della Corte di Cassazione sul delicato tema della reperibilità notturna. Con l’ordinanza n. 10648 del 23 aprile 2025, la Suprema Corte ha stabilito che le ore di permanenza obbligatoria presso la sede di lavoro, pur se prive di effettiva attività, devono essere considerate orario di lavoro e retribuite adeguatamente.
La vicenda nasce dall’interpretazione di un contratto collettivo nazionale (Ccnl) che prevedeva per tali turni un’indennità fissa mensile, escludendo però quelle ore dal conteggio dell’orario di lavoro. La Cassazione ha precisato che, in base alla normativa europea e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, il concetto di “orario di lavoro” deve essere distinto dal “tempo di riposo”, senza zone grigie: se il dipendente è obbligato a restare sul posto di lavoro, anche senza dover intervenire attivamente, quel tempo è a tutti gli effetti orario di servizio.
La Corte sottolinea inoltre che la retribuzione per tali prestazioni deve rispettare i principi di proporzionalità e sufficienza sanciti dall’articolo 36 della Costituzione. Il compenso, quindi, non può essere fissato arbitrariamente, ma deve essere adeguato alla prestazione richiesta e ai sacrifici imposti al lavoratore.
Un principio importante che impone alle aziende di verificare con attenzione la correttezza dei trattamenti economici previsti per i turni di reperibilità e di permanenza notturna, evitando disparità e il rischio di contenziosi.
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