Il lavoro in carcere non è solo una misura di reinserimento sociale: è una strategia di sistema che, se ben costruita, può generare benefici per i detenuti, per le imprese e per l’intera collettività. È su questa convinzione condivisa che si fonda il progetto “Recidiva Zero”, iniziativa avviata due anni fa e che ieri, a Roma, ha vissuto una tappa significativa con la firma di un protocollo d’intesa tra il Cnel e 16 associazioni datoriali.
Un’intesa che segna un passo avanti concreto nella costruzione di un modello integrato di formazione e lavoro per i 189 istituti di pena italiani, grazie alla collaborazione tra istituzioni, aziende, organizzazioni sindacali e terzo settore. L’obiettivo dichiarato è ambizioso: ridurre drasticamente i tassi di recidiva attraverso il lavoro e l’acquisizione di competenze professionali, restituendo dignità e prospettive di vita a chi ha commesso errori.
Un progetto che cresce passo dopo passo
L’iniziativa, nata con l’accordo tra il presidente del Cnel Renato Brunetta e il ministro della Giustizia Carlo Nordio, si è progressivamente strutturata. È nato un segretariato permanente al Cnel che ha elaborato una proposta di legge per garantire ai detenuti l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e sono state introdotte modifiche al regolamento sul lavoro carcerario con la recente conversione del decreto Sicurezza.
A questo si aggiunge l’estensione della piattaforma SIISL, dedicata all’inclusione sociale e lavorativa, anche alle persone in regime detentivo: uno strumento per favorire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, dentro e fuori dal carcere.
Lavoro e dignità, il diritto al futuro
«È un’occasione storica — ha sottolineato Nordio — per coniugare il diritto alla rieducazione sancito dalla Costituzione con un’occasione di riscatto sociale ed economico». Il Guardasigilli ha ricordato anche le difficoltà strutturali del sistema penitenziario italiano, con carceri moderne accanto a istituti vetusti dove è difficile organizzare attività lavorative e formative.
Ma c’è di più: «Una buona parte dei suicidi in carcere avviene tra chi è prossimo alla liberazione», ha denunciato Nordio, segnalando il dramma di chi teme il ritorno in libertà senza una prospettiva concreta. “Recidiva Zero” punta proprio a colmare questo vuoto, offrendo opportunità e senso di futuro.
I numeri del sistema penitenziario
Secondo i dati Censis aggiornati per l’occasione, tra il 2023 e il 2024 la popolazione detenuta è cresciuta del 28%, arrivando a quota 61.861. Solo il 34,2% dei detenuti lavora — di questi, 85 su 100 alle dipendenze dell’amministrazione — e appena il 31,3% frequenta percorsi scolastici. In crescita invece il dato sui corsi di formazione professionale, oggi al 7,2%.
Dati che per Brunetta testimoniano la necessità di un cambio di passo. «Spendiamo 3,5 miliardi l’anno per il sistema penitenziario, ma oltre il 70% dei detenuti è recidivo. È una sconfitta sociale ed economica», ha osservato il presidente del Cnel. «Bisogna costruire un legame stabile tra carcere, impresa, formazione e istruzione».
La ministra Calderone: “Giustizia sociale e utilità per il Paese”
Anche la ministra del Lavoro Marina Calderone ha ribadito il valore sociale e produttivo del progetto. «Offrire un’ipotesi di futuro diverso è un atto di giustizia sociale oltre che un obbligo costituzionale. Servono almeno 1,4 milioni di lavoratori in più: c’è spazio per tutti, anche per chi sconta una pena e vuole ricominciare».
Verso il futuro: estensione della sperimentazione
La sperimentazione del modello “Recidiva Zero” è attualmente attiva in otto istituti penitenziari e, da settembre, dovrebbe essere ampliata. Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari ha ricordato come il 98% di chi acquisisce competenze professionali in carcere non commette più reati, a conferma che l’investimento sul lavoro detentivo produce benefici non solo individuali, ma collettivi.
Il valore umano dietro le cifre
A chiudere la giornata, il presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha richiamato il necessario equilibrio tra certezza della pena e rispetto della dignità di chi la sconta. «Il lavoro in carcere è parte essenziale di questo equilibrio», ha detto, rivolgendosi anche alla polizia penitenziaria, chiamata a gestire quotidianamente il difficile compito di custodire garantendo, al tempo stesso, civiltà e diritti.
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