24 Settembre 2024 - La sentenza

La Corte d’Appello conferma sul caso dei Sinti: non fu diffamazione

Il sindaco di Gallarate, Andrea Cassani, non ha diffamato i sinti. La Corte d’Appello conferma la decisione del tribunale di Busto Arsizio del novembre 2023, rigettando il ricorso dei querelanti.

La vicenda giudiziaria che ha coinvolto il sindaco di Gallarate, Andrea Cassani, si è conclusa con un’ulteriore vittoria legale per il primo cittadino. La Corte d’Appello ha infatti confermato la sentenza emessa dal tribunale di Busto Arsizio nel novembre 2023, che scagionava Cassani dall’accusa di diffamazione nei confronti dei sinti residenti nel campo nomadi di via Lazzaretto.

Il caso aveva avuto origine nel 2021, quando un gruppo di dieci persone appartenenti alla comunità sinti, che erano tornate a vivere nell’area da cui erano state sgomberate nel 2018, aveva citato il sindaco per una serie di dichiarazioni rilasciate alla stampa. Cassani aveva accusato i residenti del campo di essersi illegalmente allacciati alla rete idrica cittadina, sottraendo acqua alla collettività. Gli abitanti del campo, assistiti dall’avvocato Luca Bauccio, avevano richiesto un risarcimento di 250mila euro per danni morali, ritenendo diffamatorie le affermazioni del sindaco.

Tuttavia, sia il tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno rigettato le richieste dei querelanti. La sentenza ha stabilito che le parole di Cassani, pur forti, non configurano il reato di diffamazione poiché non erano riferite a persone specifiche ma a un gruppo generico. Per la legge italiana, affinché si possa parlare di diffamazione, è necessaria la riconoscibilità precisa e univoca delle persone oggetto delle affermazioni. Nel caso di specie, le parole del sindaco non permettevano al pubblico di identificare chiaramente le persone coinvolte.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che le dichiarazioni rilasciate da Cassani rientravano nel legittimo esercizio della critica politica, che ammette toni più aspri rispetto a quelli tra comuni cittadini. Le parole del sindaco sono state quindi interpretate come una manifestazione di dissenso verso una situazione ritenuta illegale, ossia l’occupazione abusiva di suolo pubblico e l’uso non autorizzato delle risorse idriche comunali.

 


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