Lo spazio non è più dominio esclusivo degli Stati. Accanto alle grandi agenzie governative, il settore vede oggi la crescente presenza di operatori privati che, come dimostrano i casi di SpaceX di Elon Musk e Blue Origin di Jeff Bezos, hanno assunto un ruolo di primo piano nella corsa al cosmo. In questo scenario, l’Italia si colloca tra i Paesi più avanzati grazie all’adozione della legge 13 giugno 2025, n. 89, che disciplina per la prima volta l’economia dello spazio e fissa regole chiare per autorizzazioni, trasparenza e sostenibilità.
Un riconoscimento della capacità italiana è arrivato anche dall’estero: poche settimane fa, il governo francese ha concesso ad Avio, società privata italiana, la licenza decennale per gestire i lanci del razzo Vega dal centro spaziale della Guyana francese, al fianco della storica Arianespace.
Una cornice internazionale e un primato europeo
La normativa italiana si fonda sul principio cardine fissato dall’articolo VI dell’Outer Space Treaty del 1967: ciascuno Stato deve garantire che i propri operatori privati rispettino le norme applicabili alle attività spaziali. Con la legge 89/2025, l’Italia ha colmato un vuoto normativo e, di fatto, anticipato l’Unione Europea, che solo lo scorso giugno ha presentato la proposta di regolamento European Space Act. Quest’ultima, però, non entrerà in vigore prima del 2030, mentre l’Italia ha già posto le basi di un sistema nazionale operativo.
La legge introduce requisiti stringenti di sostenibilità, elevati standard di sicurezza e un regime di autorizzazioni pensato per integrare pubblico e privato. Tuttavia, molte questioni cruciali sono rinviate ai decreti attuativi, ancora in fase di elaborazione.
I nodi irrisolti
Tre sono le principali criticità aperte.
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Il confine tra spazio e atmosfera.
La linea di Kármán, a 100 km sopra il livello del mare, è generalmente considerata il limite tra aeronautica e spazio. Ma la realtà è più complessa: la legge italiana classifica come spaziali le piattaforme stratosferiche (che operano tra i 18 e i 50 km) e sembra includere anche i voli suborbitali, destinati a decollare e atterrare dagli spazioporti. Un settore, questo, dove l’Italia gioca d’anticipo: l’Enac ha firmato un accordo con Virgin Galactic per i voli dal futuro spazioporto di Grottaglie, in Puglia. Resta però da chiarire chi avrà la competenza regolatoria definitiva: Asi o Enac? -
L’ambito di applicazione territoriale.
La legge italiana adotta un doppio criterio: autorizza sia le attività spaziali svolte sul territorio nazionale, indipendentemente dalla nazionalità dell’operatore, sia quelle condotte da operatori italiani all’estero. Una scelta che amplia la giurisdizione, avvicinando l’Italia alla Francia, ma diversa dall’approccio olandese, che applica il criterio territoriale in modo più restrittivo. -
Il coordinamento con altre leggi nazionali.
Resta complesso armonizzare la disciplina spaziale con norme già vigenti come la legge 241/1990 sul procedimento amministrativo e il Decreto legge 21/2012 sul golden power, che attribuisce al governo poteri speciali in settori strategici. La convivenza tra queste norme e la legge 89/2025 dovrà essere chiarita con i decreti attuativi.
Una sfida di governance globale
Il cammino dell’Italia nel diritto dello spazio rappresenta un passo decisivo per governare un settore in rapida espansione, la cosiddetta space economy, che ormai vale centinaia di miliardi a livello mondiale. Le regole non hanno soltanto una funzione tecnica, ma anche geopolitica: garantire trasparenza e sicurezza significa infatti incidere sugli equilibri futuri tra Stati, agenzie e operatori privati.
Con la legge 89/2025 l’Italia ha scelto di collocarsi in posizione di avanguardia, ma molto dipenderà dalla rapidità e dall’efficacia con cui verranno sciolti i nodi ancora irrisolti. Perché nello spazio, più che altrove, le regole sono il vero motore che decide chi può correre e chi resta indietro.
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