La Corte dei Conti, con la relazione sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, ha dichiarato che il processo civile telematico è uno strumento utile, anche se la digitalizzazione riesce a ridurre soltanto in parte la durata dei processi.
Le procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie svolgono un ruolo fondamentale contro la giustizia lumaca. Le novità introdotte dal PNRR, per la Corte dei Conti, sono apprezzabili, anche se la digitalizzazione dei processi «è un processo lungo e laborioso».
Il professor Eugenio Dalmotto, associato di Diritto processuale civile dell’Università di Torino, sottolinea la centralità della figura dell’avvocato in questo periodo storico caratterizzato dalle riforme.
«Condivido quanto sostiene la Corte dei Conti. Il processo civile telematico non comporta un abbattimento dei tempi di trattazione del processo, ma porta altri benefici. In primo luogo razionalizza e alleggerisce il lavoro delle cancellerie, con l’aggiunta di una riduzione complessiva dei i costi. Il lavoro diventa più rapido per i cancellieri con gli avvocati che svolgono gran parte del lavoro».
Continua: «Prendiamo, ad esempio, l’iscrizione a ruolo. Un tempo era necessario mandare qualcuno in cancelleria con il fascicolo, c’era un impiegato che lo riceveva, controllava la regolarità dell’iscrizione e svolgeva altre operazioni. Oggi l’iscrizione a ruolo viene fatta dal computer dell’avvocato ed è questo che fa tutto».
Vale lo stesso discorso «per le notifiche che possono essere svolte tutte dallo studio legale con la PEC. La prospettiva, molto futura, potrebbe essere quella di disporre di applicazioni di intelligenza artificiale tali da aiutare i giudici nella redazione delle bozze delle sentenze, nella verifica della regolarità dei presupposti processuali. Tutto questo però mi sembra ancora molto lontano, collocato in un futuro remoto».
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Il vero problema «delle durate processuali non è dato dall’inadeguatezza del rito attuale, bensì dal collo di bottiglia creato dai provvedimenti in uscita. Alla fine le cause devono essere decise. Per scrivere più sentenze, dopo lo studio del fascicolo e la redazione delle motivazioni, occorrono più giudici».
Tutto questo ragionamento funge da premessa al fine di sottolineare l’importanza delle procedure Alternative Dispute Resolution (Adr). Per Dalmotto sono «la soluzione per diminuire il numero di cause che debbono essere decise e per fare andare più veloci le altre. In questo contesto gli strumenti di giustizia alternativa sono preziosi».
«Mi riferisco al potenziamento della conciliazione, della mediazione, della negoziazione assistita, con l’aggiunta dell’arbitrato, che potrebbero realizzarsi riconoscendo il gratuito patrocinio. Il gratuito patrocinio è però riconosciuto solo nei casi in cui la mediazione o la negoziazione assistita è obbligatoria e non quando volontaria».
Sempre secondo Dalmotto, è necessario incentivare l’accesso all’Adr. «Se io sono un non abbiente, di sicuro non mi rivolgerò alla giustizia alternativa, ma andrò davanti al giudice. Altro aspetto, a mio avviso rilevante, è quello degli incentivi fiscali. Sono riconosciuti fino ad un certo limite, ma nulla è previsto nella negoziazione assistita. Manca un incentivo ad andare in quella direzione».
Avvalersi «della mediazione, della negoziazione assistita o dell’arbitrato» evita l’affollamento dei Tribunali, consentendo allo Stato «di ottenere un risparmio. Prevedere delle agevolazioni fiscali per le procedure Adr sarebbe una soluzione utile con immediata efficacia. Un istituto che il precedente ministro della Giustizia non ha considerato è stato l’arbitrato di continuazione o di trasferimento, secondo il quale una causa già incardinata può continuare sotto forma di arbitrato. È un istituto previsto in una legge di alcuni anni fa sulla degiurisdizionalizzazione».
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