Per secoli il valore si è misurato attraverso monete, merci e documenti. Oggi è diventato un’informazione, e presto sarà qualcosa di ancora più sottile e strategico: un’identità digitale intelligente, capace di raccontare chi siamo, come ci comportiamo e quale fiducia ispiriamo all’interno delle reti che abitiamo.
Il digitale ha trasformato l’identità personale in un asset economico a tutti gli effetti. Non più solo credenziali di accesso o codici fiscali digitalizzati, ma profili dinamici che integrano dati, abitudini, preferenze e reputazione. Una rivoluzione già in atto, favorita anche da strumenti come i wallet digitali e le tecnologie Zero Knowledge Proof (ZKP), che permettono di condividere solo le informazioni strettamente necessarie, tutelando la privacy e semplificando i processi di verifica.
Oltre le password: nasce l’identità consapevole
Il passo successivo è l’intelligenza applicata all’identità. Sistemi capaci di apprendere dai nostri comportamenti, suggerire scelte, segnalare anomalie e adattarsi al contesto. Si parla di self-aware identity: identità digitali consapevoli, che funzionano come organismi cognitivi, in grado di combinare dati interni — come le abitudini di spesa o i pattern di accesso — con informazioni esterne, come la reputazione o il livello di rischio ambientale.
Un’app di investimento potrebbe, per esempio, suggerire strategie personalizzate in base ai comportamenti di spesa, mentre un wallet potrebbe bloccare un trasferimento sospetto o alzare i livelli di autenticazione se rileva un accesso anomalo dall’estero. Non è più semplice sicurezza digitale: è un nuovo modo di intendere la relazione tra persona, tecnologia e valore.
Dalla fiducia alla reputazione come capitale
In questo scenario, la reputazione diventa il vero capitale. Già oggi, nelle banche digitali o nei marketplace online, le decisioni si basano su parametri reputazionali oltre che economici. La fiducia, quindi, smette di essere un fattore informale e assume un valore misurabile e negoziabile.
Ecosistemi integrati, come quello ipotizzato da alcune fintech che uniscono servizi bancari, telecomunicazioni e piattaforme social, costruiscono una rete di riconoscimento e affidabilità. Un accesso anomalo, una SIM diversa o un comportamento incoerente possono essere rilevati e gestiti automaticamente. Allo stesso modo, i pagamenti tra privati potrebbero diventare più sicuri, verificando non solo l’identità ma anche la reputazione reciproca.
Responsabilità e inclusione nella gestione delle identità
Ma un’identità così potente comporta anche nuove responsabilità. Serve una cultura digitale che sappia coniugare tecnologia e rispetto delle diversità identitarie, evitando il rischio di creare modelli troppo rigidi o discriminatori. In Europa, dove permane una forte attenzione alla privacy, sarà essenziale educare e abituare le persone a gestire consapevolmente le proprie identità digitali, a delegarle quando necessario e a proteggere i più fragili dalle insidie della vulnerabilità digitale.
Il valore, nel futuro prossimo, non sarà più solo un saldo o un investimento. Sarà una rete di relazioni fiduciarie, una reputazione costruita e certificata nel tempo, una capacità di essere riconosciuti e agire in contesti digitali affidabili e sostenibili.
Il nuovo linguaggio del valore è l’identità
Più che un documento o un login, l’identità digitale intelligente sarà il principale fattore abilitante dei servizi finanziari, sanitari e sociali dei prossimi anni. Non solo identità sicura, ma identità attiva, capace di interagire, apprendere e agire in autonomia, costruendo valore attraverso la fiducia.
Il denaro resterà importante, ma sarà solo una parte di un’economia sempre più basata sulla reputazione, sulle connessioni e sulla qualità delle relazioni. L’identità intelligente è il codice sorgente di questo nuovo linguaggio del valore.
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