Bruxelles, 1 luglio 2025 – Il recente accordo siglato al G7 sulla minimum global tax riapre tensioni tra Stati Uniti e Unione Europea in tema di tassazione digitale. Se da una parte le istituzioni comunitarie confermano che le norme europee sui mercati e i servizi digitali resteranno intatte, dall’altra il nuovo quadro fiscale potrebbe rendere molto più difficile portare avanti i progetti di tassazione specifica sui colossi tecnologici, a livello sia nazionale che comunitario.
Al centro della questione c’è la minimum tax globale al 15%, concepita per contrastare l’elusione fiscale delle multinazionali che spostano i profitti verso paradisi fiscali. Nata nell’ambito dei lavori OCSE e approvata in linea di principio già quattro anni fa, questa imposta avrebbe dovuto colpire soprattutto i giganti del digitale, che da anni realizzano enormi profitti in Europa e nel mondo pur mantenendo la sede fiscale in paesi a bassa imposizione.
La novità introdotta nell’intesa raggiunta tra i Paesi del G7, tuttavia, prevede una significativa esenzione per le aziende americane, in particolare per quelle tecnologiche, sulla base della tassazione già applicata negli Stati Uniti attraverso il regime GILTI (Global Intangible Low-Taxed Income). Una deroga che, pur non modificando formalmente le normative UE — come il Digital Markets Act e il Digital Services Act, orientati a regolare concorrenza e tutela degli utenti più che il prelievo fiscale — rischia di svuotare di forza politica e negoziale la proposta di una web tax europea.
Da anni Bruxelles discute infatti la possibilità di introdurre una tassa unificata a livello UE sui servizi digitali, sulla scia delle imposte già attive in Italia, Francia, Spagna, Austria e Regno Unito. Misure che, nate per garantire equità fiscale e finanziare servizi pubblici essenziali, si trovano ora a rischio di dismissione o sospensione, poiché il nuovo assetto internazionale riduce lo spazio d’azione degli Stati membri in questo ambito.
La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha ribadito che una fiscalità equa resta una priorità strategica per l’Europa e che è essenziale per sostenere servizi fondamentali e attrarre investimenti. Tuttavia, l’accordo raggiunto dal G7 complica i piani europei, rendendo più difficile non solo il mantenimento delle attuali digital services taxes nazionali, ma anche l’avvio di una web tax comunitaria in grado di riequilibrare la concorrenza fiscale con i giganti del digitale.
A complicare ulteriormente il quadro, il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, è atteso a Washington per riprendere i colloqui sui dazi e tentare di mediare su questioni ancora aperte nel dialogo economico transatlantico. Un confronto reso più delicato proprio dall’intesa fiscale del G7, che priva Bruxelles di una delle leve negoziali più incisive.
Resta ora da capire come si muoveranno i singoli governi nazionali, stretti tra la necessità di garantire entrate fiscali e il rispetto dei nuovi equilibri internazionali. Quel che è certo è che la questione fiscale digitale resta una delle partite più complesse e decisive nella ridefinizione delle relazioni economiche tra Europa e Stati Uniti e, più in generale, nella governance della globalizzazione economica nell’era digitale.
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