Una recente sentenza del TAR Lazio ha stabilito che l’esclusione dal concorso per la nomina a Giudice di Pace per chi supera i 60 anni nel corso della procedura è illegittima. La decisione (sentenza n. 2727 del 6 febbraio 2025) segna un’importante inversione di rotta rispetto ai precedenti pronunciamenti dello stesso tribunale, che avevano sempre ritenuto legittimo il limite anagrafico.
Il caso: esclusione per un requisito anagrafico mobile
Il requisito dell’età per diventare Giudice di Pace è fissato dal decreto legislativo 116/2017, che stabilisce un intervallo compreso tra i 27 e i 60 anni. Tuttavia, nel caso esaminato dal TAR, il candidato aveva presentato domanda quando ancora rientrava nei limiti, ma aveva superato i 60 anni durante l’iter concorsuale. Nonostante fosse primo in graduatoria, veniva quindi escluso dalla selezione.
Il TAR ha ritenuto questa esclusione ingiustificata, sottolineando come il limite anagrafico non debba valere per l’intera durata della procedura, pena la creazione di un vincolo incerto e variabile, dipendente dai tempi amministrativi della selezione.
La procedura di nomina: un iter lungo e senza tempi certi
L’iter per la selezione dei Giudici di Pace è articolato in diverse fasi:
- Valutazione delle domande, gestita dalla Sezione autonoma per i magistrati onorari del Consiglio giudiziario presso le Corti d’Appello, che redige le graduatorie.
- Proposta di ammissione al tirocinio da parte del Consiglio Superiore della Magistratura.
- Nomina finale, che avviene solo dopo il tirocinio semestrale, su delibera del CSM e con decreto del Ministro della Giustizia.
Non esistendo limiti temporali rigidi per ciascuna fase, il rischio di superare i 60 anni prima della nomina è concreto. Il TAR ha quindi evidenziato come il requisito dell’età, se imposto fino alla fase finale, possa trasformarsi in un ostacolo ingiustificato, influenzato dalle tempistiche della pubblica amministrazione e non dalla volontà del candidato.
Magistrati ordinari e onorari: una disparità da colmare?
Il tema del limite anagrafico per i Giudici di Pace si inserisce in un dibattito più ampio sulla disparità di trattamento tra magistratura ordinaria e onoraria. Mentre per la prima non esiste un limite di età per l’accesso, per la seconda viene imposto il tetto dei 60 anni, ora contestato. Inoltre, i magistrati ordinari possono restare in servizio fino a 70 anni, mentre quelli onorari devono cessare l’attività a 65 anni.
Un primo passo verso un’equiparazione è stato compiuto con la legge di bilancio 2022, che ha innalzato a 70 anni il limite di permanenza per alcuni magistrati onorari già in servizio. Tuttavia, la disparità resta evidente, soprattutto considerando il ruolo cruciale che i Giudici di Pace svolgono nel sistema giudiziario, sia in ambito civile che penale.
La Corte Costituzionale, già nel 1993, aveva riconosciuto che la magistratura onoraria esiste per rispondere all’esigenza di una giustizia più efficiente e accessibile. Di conseguenza, il TAR Lazio ha evidenziato come le differenze nei limiti di età possano risultare irragionevoli, visto che l’attività di giudicare richiede imparzialità e competenza, indipendentemente dallo status del magistrato.
Una sentenza destinata a fare scuola?
La decisione del TAR Lazio potrebbe avere conseguenze rilevanti sul futuro dei concorsi per la magistratura onoraria. Se confermata in sede di appello, potrebbe aprire la strada a un’interpretazione più elastica del limite anagrafico, evitando esclusioni basate su ritardi burocratici piuttosto che su reali requisiti di merito.
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