Una frenata contenuta, ma simbolica. Il secondo trimestre 2025 si chiude per l’economia italiana con una contrazione congiunturale dello 0,1% del Pil, un dato che interrompe la striscia positiva avviata alla fine del 2024. Secondo l’Istat, si tratta di un calo minimo – lo 0,07% per la precisione – e che non modifica la crescita acquisita per l’anno, ancora ferma a +0,5%. Ma il rallentamento ha attirato l’attenzione degli analisti per una ragione ben precisa: a trainare la flessione non è stata la domanda interna, che continua a mostrare dinamismo, bensì la componente estera.
Il confronto con la Francia: due economie, due fragilità
A rendere il quadro ancora più interessante è il paragone con la Francia. Oltre le Alpi, nel secondo trimestre l’economia è cresciuta dello 0,3%, ma grazie a un elemento effimero: le scorte di magazzino, che hanno rappresentato il principale motore della crescita per due trimestri consecutivi. In termini di domanda interna effettiva, infatti, Parigi ha segnato il passo, con un dato piatto tra aprile e giugno e una componente estera negativa.
In Italia, al contrario, la domanda interna ha continuato a espandersi, mantenendo la sua spinta anche nel secondo trimestre 2025, nonostante il rallentamento complessivo del Pil. Il vero punto critico, secondo le stime provvisorie, riguarda il contributo negativo della domanda estera netta, cioè la differenza tra esportazioni e importazioni.
La bilancia commerciale si riduce: cosa sta accadendo?
I numeri della bilancia commerciale italiana offrono un indizio importante. Nei primi cinque mesi dell’anno, l’avanzo commerciale si è ridotto da +24 miliardi di euro (gennaio-maggio 2024) a +17,5 miliardi nel 2025, segnando un calo significativo di 6,5 miliardi di euro. Eppure, non si tratta di un effetto delle tensioni tariffarie con gli Stati Uniti: anzi, l’export verso gli USA è aumentato, con un surplus salito a +17,4 miliardi, contro i +16,4 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente.
L’attenzione si sposta quindi su un altro attore globale: la Cina. I segnali provenienti da Pechino parlano da mesi di una crescita rallentata, di una domanda interna debole e di un minor ricorso all’import di beni intermedi e di consumo dall’Europa. L’Italia, che aveva trovato nella Cina un mercato in espansione per molte categorie merceologiche (dalla meccanica ai beni di lusso), ora paga l’inversione di tendenza del gigante asiatico.
Dietro la flessione del Pil, la frenata cinese
Sebbene i dati attuali riguardino valori nominali e non ancora i volumi reali (che saranno disponibili con la seconda stima Istat), gli indizi sembrano convergere su un fattore esogeno ben preciso: la contrazione della domanda cinese nei confronti del Made in Italy. Un impatto che, se confermato nei prossimi mesi, potrebbe diventare strutturale, specie se Pechino dovesse mantenere un orientamento di contenimento delle importazioni.
L’economia italiana, storicamente ancorata all’export e all’integrazione produttiva con i mercati internazionali, appare dunque vulnerabile ai contraccolpi della congiuntura globale, soprattutto quando l’area asiatica rallenta. La tenuta della domanda interna, per quanto solida, potrebbe non bastare a garantire una crescita stabile se l’export continuerà a perdere terreno.
Uno scenario da monitorare
In attesa della prossima revisione dei dati da parte dell’Istat, il rallentamento del Pil italiano nel secondo trimestre 2025 rappresenta un primo segnale d’allarme, più qualitativo che quantitativo. La dinamica estera va osservata con attenzione, perché la debolezza del commercio internazionale, aggravata dalle incertezze geopolitiche e dalle tensioni su dazi e catene logistiche, potrebbe minare gli equilibri raggiunti negli ultimi trimestri.
In questo contesto, l’Italia si trova costretta a un esercizio difficile: rafforzare la domanda interna senza perdere competitività sui mercati esteri. Un compito reso ancora più arduo dall’instabilità globale e dalla necessità di mantenere la rotta tracciata dal Pnrr.
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