Tra le tutele inserite nel GDPR, il Regolamento UE n. 2016/679, compare anche il diritto all’oblio, ovvero la possibilità di far cancellare i nostri dati personali dai database delle aziende.
E se volessimo che a sparire fossero dei contenuti che ci riguardano e che sono reperibili in Internet?
Possiamo esercitare il nostro diritto anche nei confronti dei motori di ricerca, primo fra tutti Google?
La risposta è sì, ma con dei limiti.
IL DIRITTO ALL’OBLIO NON È ESPORTABILE
Il GDPR è entrato in vigore ormai da più di un anno (maggio del 2018), ma il diritto all’oblio era già stato sancito dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 13 maggio 2014.
Oggi, settembre 2019, giunge notizia che la stessa Corte di Giustizia Europea ha deciso che “i motori di ricerca, qualora dovessero accogliere una richiesta di diritto all’oblio da parte di un utente, non sono obbligati ad applicarla in tutte le loro versioni. Tuttavia, fatto salvo alcune eccezioni previste dal diritto Ue, vale invece anche per i gestori dei motori di ricerca il divieto di trattare determinati dati personali sensibili.” [Leggi la notizia ANSA].
In parole semplici, se un utente europeo invoca il diritto all’oblio, Google dove rendere invisibili i link e i contenuti contestati, ma solo nelle versioni europee del suo motore di ricerca. Potrà, invece, decidere se continuare a mantenerli visibili nelle versioni extraeuropee.
Questa sentenza non è la prima a rigettare l’idea di un diritto alla cancellazione globale. Già in altri paesi europei si era giunti a simili sentenze, in base al principio per cui una norma ha valore solo nel territorio in cui è adottata.
La decisione della Corte di Giustizia Europea non ha ripercussioni solo sulla privacy dei singoli, ma anche sull’accesso alle informazioni che, così, viene differenziato su base territoriale. Infatti, ai cittadini di altri continenti potrebbe essere garantito l’ accesso a contenuti ormai preclusi agli europei.
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