2 Luglio 2025 - CIVILE | Novità giurisprudenziali

Diffamazione online, il blogger è responsabile se non rimuove i commenti illeciti segnalati

La Cassazione chiarisce: non serve una comunicazione dalle autorità per obbligare il gestore di un blog a cancellare contenuti offensivi. Basta che ne venga a conoscenza, in qualunque modo, e che l’illiceità sia manifesta.

In rete la libertà di espressione convive con il diritto all’onore e alla reputazione, e a regolare questo difficile equilibrio arriva una nuova presa di posizione della Corte di Cassazione.

Con l’ordinanza n. 17360 depositata il 30 giugno 2025, la Terza sezione civile ha stabilito che il gestore di un blog o di una piattaforma digitale, sebbene configurabile come hosting provider non attivo, è tenuto a rimuovere tempestivamente i commenti illeciti pubblicati da terzi non appena ne acquisisca consapevolezza — anche se tale conoscenza non gli perviene tramite una comunicazione ufficiale delle autorità competenti.

Il caso e la decisione della Suprema Corte

La vicenda nasce dalla richiesta di risarcimento avanzata da un cittadino che si era ritenuto diffamato da alcuni commenti apparsi su un blog. Poiché il curatore della piattaforma non aveva provveduto a rimuoverli dopo la segnalazione, la parte lesa si era rivolta prima al Tribunale e poi alla Corte d’Appello, trovando in entrambi i casi risposta negativa.

Per i giudici di merito, infatti, il gestore del blog avrebbe avuto l’obbligo di rimozione dei commenti diffamatori solo a seguito di una comunicazione ufficiale delle autorità competenti, in quanto solo tale notifica avrebbe configurato una “conoscenza qualificata” della loro illiceità.

La Cassazione, ribaltando questa lettura, ha invece ricordato che né la normativa europea (Direttiva 2000/31/CE) né il Dlgs 70/2003 — che disciplina in Italia i servizi informatici — prevedono che la responsabilità dell’hosting provider sia subordinata a una segnalazione formale da parte di un’autorità pubblica.

Conoscenza effettiva e illiceità manifesta

Secondo la Suprema Corte, il principio cardine è che il gestore della piattaforma, pur non rispondendo automaticamente dei contenuti pubblicati da terzi, diventa responsabile nel momento in cui acquisisce effettiva consapevolezza del carattere manifestamente illecito delle informazioni.

Tale consapevolezza può derivare da qualsiasi fonte: una segnalazione della parte offesa, una notizia di stampa, o persino una presa d’atto diretta del contenuto. È vero che una comunicazione ufficiale delle autorità può semplificare la valutazione sull’illiceità, ma non è condizione necessaria per far scattare l’obbligo di intervento.

Un principio in linea con le garanzie costituzionali e comunitarie

Nel fondare questa interpretazione, la Cassazione ha richiamato la propria giurisprudenza penale (sentenza 12546/2019) e le indicazioni della Corte Costituzionale e della Corte EDU, che più volte hanno sottolineato come il diritto alla libertà di espressione debba essere bilanciato con la tutela della dignità personale e che le deroghe alla libertà di parola sono legittime quando giustificate da ragioni obiettive e razionali.

Un modello di equilibrio tra libertà di rete e responsabilità

In definitiva, la Corte ha fissato un principio chiaro:

“Il prestatore di servizi informatici che rivesta il ruolo di hosting provider non attivo è esente da responsabilità per i contenuti illeciti immessi da terzi, ma, una volta acquisita la consapevolezza della manifesta illiceità di tali contenuti — per qualsiasi via — è obbligato a rimuoverli tempestivamente per mantenere l’esenzione da responsabilità”.

Una pronuncia che aggiorna il quadro giuridico italiano sull’accountability delle piattaforme digitali, rafforzando la tutela dei diritti della personalità nel contesto della comunicazione online e confermando che anche nella società dell’informazione la responsabilità non può essere elusa dietro il paravento tecnico dell’intermediazione passiva.


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