Roma, 26 giugno 2024 – La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 25026 del 25 giugno 2024, ha fatto chiarezza sugli elementi essenziali che configurano il reato di diffamazione, offrendo una linea guida precisa per distinguere le semplici critiche o opinioni personali da veri e propri atti diffamatori.
Non basta la mera astratta conformità al reato: Secondo la Suprema Corte, non è sufficiente che la condotta rientri astrattamente nella fattispecie di reato prevista dall’articolo 595 del codice penale. Affinché sussista la diffamazione, è necessario che la condotta sia concretamente offensiva, ovvero idonea a ledere in modo concreto la reputazione della persona offesa.
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Valutazione caso per caso: La valutazione dell’offensività spetta al giudice, che deve procedere ad un’analisi attenta e scrupolosa di ogni singolo caso, tenendo conto di una serie di fattori tra cui:
- Le espressioni utilizzate: La gravità delle parole adoperate, il loro significato letterale e implicito, il contesto in cui sono state pronunciate o diffuse.
- La posizione della persona offesa: Il ruolo sociale e professionale ricoperto dalla persona offesa, la sua sensibilità all’offesa e il suo grado di esposizione al pubblico.
- Le modalità di diffusione: Il numero di persone a cui le espressioni sono state diffuse e il canale utilizzato per la diffusione (ad esempio, social media, testate giornalistiche, televisione).
Esempi di condotte diffamatorie: La Cassazione, pur non fornendo un elenco esaustivo, ha offerto alcuni esempi di condotte che possono essere considerate diffamatorie:
- Attribuire alla persona offesa fatti non veri o comunque suscettibili di ledere la sua reputazione, anche se presentati come opinioni o supposizioni.
- Offendere la persona offesa con espressioni ingiuriose o comunque offensive, anche se non contenenti affermazioni di fatto.
- Diffondere informazioni negative sulla persona offesa, anche se vere, senza alcun giustificato motivo o senza rispettare le dovute cautele.
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