Tar del Friuli sul vaccino anti Covid-19: fase sperimentale ultimata con la commercializzazione
Con la sentenza del 10 settembre 2021, n. 261, il Tar Friuli Venezia Giulia prende posizione su una serie di questioni attualmente molto dibattute. Stiamo parlando della sperimentalità del vaccino contro il Covid-19 e di un eventuale indennizzo da parte dello Stato. Non solo: il Tar affronta anche il tema della limitazione della libertà individuale ad un trattamento sanitario.
Il Tar del Friuli frena i no-vax: i vaccini anti Covid-19 non sono sperimentali
E’ recente la decisione del Tar del Friuli Venezia Giulia in merito ad alcuni tra i più importanti celebri cavalli di battaglia dei no-vax. Nello specifico, i punti affrontati sono tre:
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- Innanzitutto, la parte più interessante, ovvero, la natura ancora sperimentale del vaccino contro il Covid-19. Infatti, per i giudici, i quattro vaccini attualmente disponibili per la battaglia contro l’infezione da Covid-19 «non sono in “fase di sperimentazione”». Ciò, in quanto «non può considerarsi tale la procedura di autorizzazione condizionata da parte della Commissione, previa raccomandazione dell’EMA. Si tratta [invece] di uno strumento “collaudato” che arriva a valle di un “rigoroso processo di valutazione scientifica” che non consente alcuna equiparazione dei vaccini a “farmaci sperimentali”».
- In secondo luogo, l’indennizzo da parte dello Stato in caso di danni da vaccinazione. A tal proposito, i giudici ricordano che non c’è alcuna esenzione di responsabilità nel firmare il consenso informato al momento dell’inoculazione del siero. Dunque, l’indennizzo scatta di diritto per tutti i cittadini, e non solo per chi ha l’obbligo di vaccinazione (ad esempio, gli operatori sanitari). Ciò, in quanto la Corte Costituzionale (sentenza del 23 giugno 2020, n. 118) estende il risarcimento anche alle vaccinazioni non obbligatorie ma solo “raccomandate”.
- In ultimo, la limitazione della libertà individuale ad un trattamento sanitario. Circa questo argomento, il Tar ricorda che, nel contesto dell’emergenza pandemica, l’interesse generale a prevenire lo sviluppo del Covid-19, è di natura pubblica, perciò deve necessariamente venire prima dell’interesse del singolo. Dunque «la salute collettiva giustifica la temporanea compressione del diritto al lavoro del singolo che non vuole sottostare all’obbligo vaccinale» (nel caso di specie, un operatore sanitario).
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