Nel cuore del processo “Reset”, destinato a segnare un passaggio delicato della giustizia cosentina, si accende un nuovo fronte: quello che vede protagonisti non gli imputati, ma i loro difensori. Gli avvocati penalisti Cristian Cristiano e Vincenzo Guglielmo Belvedere sono stati infatti travolti da una polemica scaturita da un manoscritto firmato dal presunto boss detenuto Roberto Porcaro, diffuso in anteprima da un quotidiano online, in cui si mettono in discussione alcune scelte difensive operate nel corso del processo.
Nel documento, Porcaro – detenuto al 41 bis – critica la richiesta di acquisizione di un suo verbale da parte dei due legali, definendola “un errore grossolano”. Il manoscritto, sebbene ancora non ufficialmente acquisito agli atti processuali, è stato reso pubblico, alimentando sospetti e insinuazioni su una presunta malafede degli avvocati coinvolti.
La reazione dell’Avvocatura della Camera Penale di Cosenza è stata immediata e netta. In un comunicato dal tono fermo e deciso, il Consiglio Direttivo e il Presidente Roberto Le Pera, con il Segretario Gabriele Posteraro, hanno espresso pieno sostegno ai colleghi:
“È il tempo del processo mediatico, della giustizia del popolo e non in nome del popolo; del ‘Crucifige’ e non della sentenza. Ma a questa orda di inciviltà continua a fare da scudo la toga dell’Avvocato, libera, indipendente, assoluta protagonista della vera cultura della giurisdizione”.
La nota denuncia con forza la deriva giustizialista e la pericolosa esposizione mediatica di avvocati penalisti che, semplicemente, esercitano la loro funzione difensiva. Una funzione costituzionalmente garantita e fondamentale per l’equilibrio del sistema democratico.
Gli stessi Cristiano e Belvedere, in una nota congiunta, hanno risposto punto per punto alle affermazioni di Porcaro, spiegando che i verbali richiesti erano stati omissati nelle parti non rilevanti e che la richiesta era finalizzata esclusivamente a tutelare i propri assistiti, dei quali uno non era neppure conosciuto da Porcaro.
“È evidente che il dato istruttorio sia stato frainteso. L’intero collegio difensivo non ha mosso obiezioni, proprio perché ininfluente per gli altri imputati”.
Ma la questione non si ferma qui. I legali di Porcaro, Mario Scarpelli e Roberta Lucà, hanno a loro volta replicato, ritenendo “inaccettabile” che i colleghi abbiano, a loro dire, tentato di “screditare l’operato professionale” della difesa del boss.
Il caso, sempre più infuocato, riaccende un tema cruciale: la tutela dell’indipendenza dell’avvocato e la necessità di sottrarre la giustizia al tribunale dell’opinione pubblica.
Come sottolinea la Camera Penale:
“Se qualcuno pensa di colpire anche un solo avvocato, ricordi che dovrà colpirci tutti per farci indietreggiare. E quando ci avrà colpiti tutti, non ci sarà più nessuno a difenderlo”.
Il processo “Reset” continua, ma il vero banco di prova sarà ora per la libertà della difesa. Un principio che, se incrinato, rischia di trascinare con sé le fondamenta stesse dello Stato di Diritto.
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