Redazione 6 Maggio 2025

Comunicazioni PEC e processo civile: solo i file originali fanno prova

In un’epoca in cui la digitalizzazione della giustizia è ormai realtà quotidiana, la Corte d’Appello di Milano ha rimesso ordine su un aspetto tutt’altro che secondario del processo civile: il valore probatorio delle comunicazioni via PEC. Con una sentenza destinata a fare scuola, i giudici milanesi hanno stabilito che le ricevute PEC devono essere depositate in formato originale — “.eml” o “.msg” — e non semplicemente convertite in PDF, pena la loro inutilizzabilità come prova.

La vicenda nasce da una causa per il recupero di crediti derivanti dalla fornitura di energia elettrica, nella quale la parte creditrice aveva tentato di dimostrare l’interruzione della prescrizione producendo, solo nella fase istruttoria avanzata, alcune ricevute PEC in formato PDF. Una scelta che non ha convinto né il giudice di primo grado né, successivamente, la Corte d’Appello.

I magistrati hanno ribadito un principio fondamentale già affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 16189/2023: la validità della prova informatica dipende dal rispetto delle forme previste dalla legge. Solo attraverso l’apertura del file nel suo formato nativo è possibile verificare con certezza la ricezione effettiva del messaggio da parte del destinatario e il contenuto dell’atto allegato. La trasformazione in PDF, invece, non consente tale verifica e compromette la certezza giuridica.

Non si tratta di formalismi, sottolinea la Corte, ma di una garanzia sostanziale per il corretto svolgimento del contraddittorio e la tutela del diritto di difesa. La decisione rimarca inoltre l’importanza di rispettare i termini processuali: la produzione tardiva di documenti fondamentali, soprattutto se contestata tempestivamente dalla controparte, non può essere sanata.

Questa pronuncia si inserisce nel più ampio contesto di riflessione sul processo telematico e sulla necessità di un approccio rigoroso e consapevole alle nuove modalità di gestione degli atti giudiziari. La digitalizzazione, ammoniscono i giudici milanesi, non significa semplificazione indiscriminata, ma evoluzione tecnica e culturale che impone agli operatori del diritto attenzione, precisione e conoscenza degli strumenti informatici.


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