La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4704 del 22 febbraio 2025, ha ribadito che i valori medi stabiliti per la liquidazione del compenso dell’avvocato “possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento”. Tale principio si applica anche nel contenzioso tributario, imponendo ai giudici di rispettare il limite minimo previsto dal D.M. 55/2014, come modificato dal D.M. 37/2018.
Il caso
La vicenda trae origine da un ricorso in Cassazione contro una sentenza tributaria di secondo grado che aveva compensato le spese di giudizio, nonostante la soccombenza dell’Agenzia delle Entrate. Il ricorrente contestava inoltre la quantificazione delle spese legali, ritenendo che la Commissione tributaria regionale le avesse liquidate al di sotto dei minimi tariffari previsti, senza fornire una motivazione adeguata.
La decisione della Cassazione
Accogliendo il ricorso, la Cassazione ha ribadito che, in base all’art. 4, comma 1, del D.M. 55/2014, così come modificato dal D.M. 37/2018, il giudice può esercitare un margine di discrezionalità nella liquidazione del compenso, ma senza scendere oltre il 50% dei valori medi stabiliti nelle tabelle allegate al decreto ministeriale.
La Suprema Corte ha inoltre chiarito che tale limite è stato introdotto per garantire trasparenza e uniformità nella determinazione dei compensi professionali. Di conseguenza, il giudice non può derogare a questa soglia, salvo specifici accordi tra le parti.
Infine, la Cassazione ha escluso l’applicabilità dell’art. 91, quarto comma, c.p.c., al processo tributario, confermando che il valore della causa non rappresenta un tetto massimo per la liquidazione delle spese legali. Alla luce di tali principi, la sentenza impugnata è stata cassata e le spese dei giudizi di merito sono state rideterminate nel rispetto dei limiti tariffari.
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