Non basta la mancata comunicazione di una diagnosi prenatale per ottenere il risarcimento del danno biologico. A chiarirlo è la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 15076/2025, ha ribadito come le patologie successive manifestate dai genitori di un bambino nato con una malattia genetica non possano essere considerate, di per sé, conseguenza diretta della condotta omissiva del medico.
Il caso riguardava due genitori cui, durante la gravidanza, non era stata segnalata la presenza di talassemia nelle due figlie gemelle. Solo dopo la nascita, la coppia ha affrontato un lungo e difficile percorso terapeutico per le bambine, culminato con un trapianto di midollo reso possibile dalla nascita di un fratellino compatibile, concepito attraverso inseminazione artificiale con selezione genetica.
I giudici hanno riconosciuto il danno morale derivante dalla lesione del diritto dei genitori a essere pienamente informati, sottolineando che questa omissione aveva impedito loro di autodeterminarsi consapevolmente rispetto alla gravidanza e di prepararsi psicologicamente alle conseguenze della nascita di due figlie malate. Tuttavia, è stato escluso il riconoscimento del danno biologico, sia per la madre — nonostante le difficoltà affrontate tra aborti spontanei e gravidanze medicalmente assistite — sia per il padre, in assenza di una prova concreta di danno alla salute fisica.
La Suprema Corte ha inoltre negato il risarcimento del danno biologico per le malattie successive che i genitori hanno contratto, poiché non è stato dimostrato un nesso causale certo tra queste e la mancata informazione prenatale. Allo stesso modo, è stato respinto il ricorso proposto dalle due gemelle, ormai maggiorenni, che chiedevano il risarcimento per la propria condizione genetica: i giudici hanno ribadito che non esiste un diritto a nascere sani e che la responsabilità del medico non può estendersi oltre le conseguenze della sua condotta omissiva.
Infine, la Cassazione ha respinto anche il ricorso del medico e della struttura sanitaria che contestavano l’entità del danno morale riconosciuto ai genitori. La Corte ha confermato che la somma risarcitoria comprendeva correttamente tutte le sofferenze non patrimoniali, comprese quelle derivanti dalla privazione del diritto all’informazione e dall’impossibilità di compiere una scelta consapevole sul futuro della gravidanza.
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