Cloud Nazionale: la nuova gestione dei dati della PA

Dallo scorso 22 dicembre sono entrati in azione quattro nuovi datacenter dove verranno custoditi, gestiti e archiviati i dati dei servizi pubblici e delle pubbliche amministrazioni.

I datacenter sono edifici o capannoni, dove si installano i vari server, ovvero dei pc che lavorano connessi tra loro. I nuovi datacenter in questione, che costituiscono il “Cloud Nazionale”, si trovano nel Lazio, a Pomezia e Acilia e in Lombardia, a Rozzano e a Santo Stefano Ticino.

Cloud è il termine con cui si descrive un servizio in grado di offrire la gestione di una grossa quantità di dati con server che sono connessi tra loro. Con “Cloud Nazionale” si intende un nuovo modo di gestione dei dati a livello statale.

I dati, infatti, non saranno più sparsi in tanti datacenter locali, vecchi e mal gestiti, ma verranno controllati da un unico operatore e condivisi tra istituzioni, piccoli comuni e ministeri.

Nuovi datacenter con sicurezza elevata

I nuovi datacenter consentiranno di rendere accessibili online alcuni servizi pubblici che devono ancora digitalizzarsi, diffondere domicilio e identità digitale e creare un fascicolo sanitario elettronico nazionale per superare il sistema attuale gestito dalle singole Regioni.

Un vantaggio del progetto risiede nella sicurezza. I nuovi datacenter, infatti, consentono di effettuare il backup delle infrastrutture e delle applicazioni. Se ci fossero problemi, quindi, in uno dei datacenter, i dati e i servizi verrebbero garantiti da un datacenter gemello.

Questo corrisponde ad un elevato livello di sicurezza, che fa in modo di evitare attacchi o incidenti con conseguenze sulla sicurezza nazionale e previene l’interruzione di alcuni servizi essenziali. Tali obiettivi sono stati inseriti nel PSN, ovvero la strategia del Polo Strategico Nazionale.

La scelta della proposta

Fondamentale l’individuazione della miglior proposta da cui partire. Esattamente un anno fa, al termine di dicembre, il dipartimento della trasformazione digitale disse di aver scelto la proposta presentata da una collaborazione tra quattro grandi aziende italiane: Leonardo, Tim, Sogei e Cassa depositi e Prestiti.

Vista l’importanza del progetto e dei soldi messi a disposizione (2,8 miliardi di euro), è stata organizzata una gara europea, conclusa a luglio 2022. L’appalto è stato vinto da Aruba e Fastweb, anche se il quartetto formato da Leonardo, Tim, Sogei e Cassa depositi e Prestiti ha esercitato il diritto di prelazione, prendendosi in carico tutto il progetto.

Le quote sono state così divise: 45% Tim, 25% Leonardo, 20% Cdp e 1’% Sogei. Grazie all’accensione dei datacenter può dunque partire la fase più concreta e operativa, ovvero il passaggio dei dati dai server delle PA al nuovo Cloud Nazionale.

Sfide e obiettivi

L’obiettivo è la migrazione dei dati di 280 amministrazioni non più tardi del terzo trimestre del 2026, in linea con PNRR. All’interno di queste troviamo le amministrazioni centrali, ovvero ministeri e istituti come INPS e INAIL, le aziende sanitarie locale, le Regioni, le Province e i Comuni che hanno più di 250mila abitanti.

Secondo Emanuele Iannetti, l’amministratore delegato del Polo Strategico Nazionale, la sfida più interessante è la creazione di applicazioni su scala nazionale al fine di raccogliere omogeneamente i dati delle aziende e delle persone.

«C’è anche un tema di efficienza della spesa pubblica: avere migliaia di piccoli data center, come accade ora, non aiuta. Con il PSN si otterrà un risparmio importante sui conti dello Stato, con una riduzione dei costi oggi sostenuti dalle pubbliche amministrazioni per la gestione delle infrastrutture. Senza contare che avere tutto concentrato su quattro data center aumenta il risparmio energetico».

Problemi, paure e rischi

Un problema ancora irrisolto riguarda il controllo dei dati e il rischio di ingerenze straniere. Il progetto di Leonardo, Tim, Sogei e Cassa depositi e Prestiti si basa sugli accordi con i principali operatori cloud mondiali, come Google, Amazon, Microsoft, Oracle e AWS.

Le paure riguardano gli effetti del Cloud Act, una legge federale degli USA del 2018 che impone agli operatori, in caso di mandato dell’autorità giudiziaria, di fornire i dati digitali che vengono costuditi anche nei server esteri.

Alessio Butti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con delega all’Innovazione tecnologica, dice che «rimangono aperte le criticità sulla minaccia alla sovranità digitale nazionale rappresentata dal Cloud Act americano».

Paesi come Germania, Francia e Spagna hanno già adottato le misure necessarie per limitare eventuali intrusioni dagli stati stranieri. Per esempio, nel 2019 la Francia annunciò la volontà di dare la gestione dei dati pubblici soltanto ad operatori europei, al fine di evitare ingerenze estere, soprattutto statunitensi.

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