La Corte d’Assise di Milano ha recentemente pubblicato le motivazioni della sentenza che ha condannato Alessia Pifferi all’ergastolo per la morte della figlia Diana. Un caso che ha suscitato grande interesse mediatico e che pone questioni giuridiche complesse, in particolare riguardo alla distinzione tra omicidio e abbandono di minore.
La sentenza, emessa il 9 agosto 2024, ha sottolineato la differenza tra il reato di abbandono di minore seguito da morte e quello di omicidio. Secondo i giudici, l’elemento psicologico che distingue i due reati è cruciale: nel caso di abbandono di minore, il reato si configura quando l’autore è consapevole del pericolo per l’incolumità fisica della vittima, mentre nell’omicidio è necessario che l’autore agisca con la volontà di causare la morte, o accettando il rischio che ciò avvenga.
Nel caso Pifferi, i giudici hanno ricordato che, secondo un orientamento costante della giurisprudenza, la prova del dolo (cioè della volontà di commettere il reato) si basa sulla valutazione delle circostanze concrete dell’azione. Anche senza una confessione esplicita, queste circostanze devono essere analizzate attentamente per verificare se siano idonee a dimostrare l’intenzionalità del reato.
Durante il processo, il pubblico ministero aveva riconosciuto che l’indagine non aveva dimostrato un dolo diretto intenzionale da parte di Alessia Pifferi. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che il comportamento omissivo della Pifferi fosse comunque gravemente colposo, anche se non intenzionalmente volto a causare la morte della figlia.
La sentenza chiarisce inoltre che, per configurare il dolo eventuale (una forma di dolo in cui l’autore accetta il rischio del verificarsi di un evento dannoso), è necessario dimostrare che l’imputato si sia confrontato psicologicamente con la possibilità dell’evento e abbia accettato tale rischio. Questo processo di analisi si basa su una serie di indicatori, tra cui la condotta dell’imputato, la sua personalità, il contesto in cui si è svolto il fatto e le conseguenze che avrebbe potuto prevedere.
La Corte ha concluso che Alessia Pifferi, pur non avendo voluto direttamente la morte della figlia, aveva previsto come concreta la possibilità di tale esito, sulla base delle sue azioni e delle dichiarazioni rilasciate durante il processo. Questo ha portato i giudici a ravvisare tutti gli elementi necessari per configurare il dolo eventuale.
Infine, riguardo all’aggravante della premeditazione, la Corte ha chiarito che questa non può essere applicata insieme al dolo eventuale. La premeditazione implica infatti una volontà intensa di raggiungere un determinato risultato, incompatibile con la “vaghezza” psicologica caratteristica del dolo eventuale, dove l’autore accetta solo il rischio che l’evento si verifichi.
Con queste motivazioni, la Corte d’Assise di Milano ha confermato la condanna di Alessia Pifferi all’ergastolo, sottolineando la gravità delle sue azioni e la consapevolezza del rischio che queste comportavano per la vita della figlia Diana.
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