Soltanto una minoranza degli istituti penitenziari italiani dispone attualmente di spazi adeguati per garantire l’esercizio del diritto all’affettività da parte dei detenuti, come sancito dalla recente pronuncia della Corte Costituzionale. A rivelarlo è stato il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, durante un question time alla Camera dei Deputati in risposta a un’interrogazione sul tema. Su un totale di 189 carceri, solo 32 hanno confermato la presenza di aree idonee, spesso richiedendo significativi interventi edilizi, mentre ben 157 hanno dichiarato di non avere spazi sufficienti.
Il Guardasigilli ha definito la sentenza della Consulta, che ha dichiarato illegittimo il divieto generalizzato di colloqui intimi senza sorveglianza visiva, come un passo fondamentale verso l’umanizzazione della pena. Tuttavia, ha anche sottolineato come l’attuazione di tale principio si scontri con una realtà infrastrutturale complessa, accumulatasi nel corso del tempo. “Il governo è impegnato a trovare soluzioni – ha assicurato Nordio – ma conciliare questo diritto con le esigenze di sicurezza, la conformità degli edifici e la disponibilità del personale presenta sfide non immediate”.
Per affrontare la carenza di spazi, il Ministero ha annunciato di aver ripreso un progetto sperimentale denominato MI MA (Moduli di Affettività e Maternità), avviato nel 2020 in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma presso il carcere femminile di Rebibbia. Si tratta di un prototipo di struttura modulare in legno, realizzata con un occhio al contenimento dei costi, pensata specificamente per ospitare colloqui e momenti di intimità tra i detenuti e i loro affetti. L’intenzione è di estendere questo modello ad altre case circondariali, creando aree dedicate e valorizzando al contempo le competenze lavorative interne agli istituti.
Nonostante l’impegno dichiarato, Nordio ha ammesso la complessità della situazione: “È con rammarico che constato come spesso la realtà dei fatti si discosti dal quadro normativo e giurisprudenziale. Le problematiche del nostro sistema carcerario sono radicate e richiedono tempo e risorse significative per essere superate. Ci stiamo lavorando con la massima attenzione, ma non possiamo compiere miracoli”.
La Corte Costituzionale, nella sua sentenza, aveva evidenziato come l’obbligo indiscriminato di controllo a vista durante i colloqui privasse i detenuti della possibilità di esprimere affetto verso i propri cari, anche in assenza di ragioni di sicurezza specifiche. Ciò era stato ritenuto in contrasto con i principi di dignità umana e di rieducazione della pena sanciti dalla Costituzione, nonché con la normativa europea in materia di diritti umani. La Consulta aveva auspicato un’azione sinergica tra legislatore, magistratura di sorveglianza e amministrazione penitenziaria per dare concreta attuazione al diritto all’affettività intramuraria, con la gradualità necessaria. La sentenza non si applica ai detenuti in regime di 41-bis o sottoposti a sorveglianza speciale.
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