Redazione 23 Giugno 2025

Carcere per madri e donne incinte: il Magistrato di Sorveglianza di Bologna blocca l’effetto retroattivo del “decreto sicurezza”

Arriva da Bologna una decisione destinata a tracciare una linea interpretativa netta sulle modifiche introdotte dal cosiddetto “decreto sicurezza”. Con un provvedimento del 3 giugno 2025, il Magistrato di Sorveglianza ha infatti escluso la possibilità di applicare retroattivamente la nuova disciplina sul differimento dell’esecuzione della pena detentiva per donne incinte o madri di bambini di età inferiore a un anno.

Il decreto sicurezza, intervenendo sugli articoli 146 e 147 del codice penale, ha trasformato quella che era una misura obbligatoria di differimento dell’esecuzione della pena in una facoltà valutativa del giudice. Una scelta normativa che ha suscitato numerose polemiche, perché consente — seppure attraverso la detenzione attenuata negli ICAM — la carcerazione di donne in gravidanza o madri di neonati.

Il Magistrato di Sorveglianza bolognese, nella prima applicazione della nuova disciplina, ha però affermato la natura sostanziale — e non meramente processuale — della modifica normativa. Conseguentemente, ha escluso che possa operare il principio tempus regit actum, applicando invece il fondamentale principio di irretroattività della legge penale più severa sancito dall’articolo 25 della Costituzione.

Nel caso concreto, è stata così prorogata la misura di detenzione domiciliare concessa a una donna che, al momento del primo provvedimento di differimento, era in stato di gravidanza e che ora è madre di un bambino di pochi mesi. Il provvedimento ha ritenuto che, per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore del decreto, continui a valere la disciplina più favorevole prevista dall’articolo 146 del codice penale nella sua precedente formulazione.

La decisione richiama i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 32 del 2020, secondo cui l’irretroattività deve applicarsi anche alle modifiche normative che incidono in modo determinante sul regime di libertà personale del condannato. In questo caso, infatti, si tratta — per dirla con la Consulta — di stabilire se la persona “sta dentro o sta fuori dal carcere”, circostanza che investe direttamente i diritti inviolabili tutelati dalla Carta.

Una decisione che non solo riafferma il primato dei principi costituzionali, ma che anticipa i nodi di legittimità che si presenteranno, inevitabilmente, quando verranno sottoposti all’esame dei giudici casi relativi a fatti commessi dopo l’entrata in vigore della nuova normativa.


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