La causa scriminante del rischio consentito non lascia scampo alla condanna per lesioni nei confronti del calciatore che dà una testata all’avversario quando il gioco è fermo, poiché si sta recuperando fuori campo il pallone.
La Cassazione ha deciso di respingere il ricorso contro la condanna nei confronti di un calciatore, che era stato accusato di violazione delle regole e di non aver rispettato i doveri di lealtà verso il suo avversario. Il giocatore, inutilmente, si era difeso affermando che il suo gesto era del tutto involontario.
Inoltre, sosteneva che il gesto fosse avvenuto durante il gioco, contro un avversario con il quale non aveva avuto né litigi o scontri verbali. Tesi supportata anche dal fatto che l’arbitro non lo aveva sanzionato.
Ma la ricostruzione dei giudici è diversa. La testata, infatti, sarebbe avvenuta «durante una fase di gioco fermo per il recupero del pallone fuoriuscito dal rettangolo di gioco». I compagni di squadra del calciatore che ha ricevuto la testata, inoltre, avevano chiesto all’arbitro di estrarre il cartellino. Tuttavia, quest’ultimo aveva deciso di non prendere alcun provvedimento in quanto non era riuscito a vedere l’aggressione.
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In tema di competizioni sportive, i giudici di legittimità ricordano come non sia applicabile la scriminante del rischio consentito se, durante una partita di calcio, l’imputato colpisce direttamente l’avversario, con pugni o testate, al di fuori dell’ordinaria azione di gioco.
Per la Cassazione si tratta «di una dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva. Questo perché va considerato che nella disciplina calcistica l’azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero da movimenti, anche senza palle, funzionali alle più efficaci strategie tattiche (blocco degli avversari, marcamenti, tagli in area, ecc) e non può ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avviene in campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell’incontro».
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