«Non è più tragedia, è avanspettacolo». Con queste parole Giandomenico Caiazza, già presidente dell’Unione Nazionale delle Camere Penali, interviene nel dibattito sulle inchieste giudiziarie che sistematicamente si abbattono sui candidati politici all’indomani dell’annuncio delle loro candidature.
Dal caso delle Marche a quelli di Genova, Bari, Milano, Caiazza denuncia un copione che si ripete da anni, con l’iniziativa giudiziaria che prende il posto del confronto elettorale. «Puntualmente – afferma – lo scontro democratico viene sostituito da un’indagine penale, che costringe il candidato a una duplice ordalia: da un lato l’interrogatorio-fiume di cinque ore in Procura, dall’altro il giudizio del suo potenziale alleato politico».
La farsa dell’autogiustizia di partito
Il riferimento è anche alla pratica, sempre più diffusa, per cui gli alleati politici, invece di attendere gli esiti della giustizia, pretendono di leggere gli atti dell’inchiesta e di pronunciarsi in conferenza stampa, con tanto di “sentenza” anticipata di assoluzione morale. «È una rappresentazione surreale – aggiunge Caiazza – dove tutti i protagonisti si mostrano ilari ed emozionati per il lieto fine, ma sembrano ignari di star celebrando il funerale della politica».
Un allarme per la democrazia
L’ex presidente delle Camere Penali sottolinea come questa deriva rischi di minare le basi stesse della democrazia rappresentativa, con la magistratura che di fatto interviene nel gioco politico e l’opinione pubblica trasformata in giuria sommaria. Un sistema che, per Caiazza, ha smarrito il senso del diritto e della responsabilità politica, in favore di una sceneggiatura giudiziaria in cui la verità processuale è sostituita dal clamore mediatico.
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