Si può parlare di appropriazione indebita di dati informatici? Oppure no, considerato che i dati informatici non sono “cose mobili”?
Immaginate un dipendente che, prima di dimettersi e di iniziare a lavorare in un’altra azienda dello stesso settore, riconsegna al datore di lavoro il pc portatile sul quale lavorava completamente formattato, senza più alcuna traccia di tutti i file e i dati informatici in esso contenuti.
Immaginate poi che questo dipendente, prima di procedere alla cancellazione dei dati, si sia premurato di salvarli e di trasferirli su un altro computer usato nel nuovo lavoro.
Un caso simile è l’oggetto della sentenza 11959/2020 della Cassazione.
APPROPRIAZIONE INDEBITA DI DATI INFORMATICI E IL CONCETTO DI “COSA MOBILE”
Nella sentenza la Cassazione spiega che il delitto di appropriazione indebita ha come oggetto materiale della condotta «denaro od altra cosa mobile».
Con “cosa mobile” intende la cosa suscettibile di «fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione, e che a sua volta possa spostarsi da un luogo ad un altro o perché ha l’attitudine a muoversi da sé oppure perché può essere trasportata da un luogo ad un altro o, ancorché non mobile ab origine, resa tale da attività di mobilizzazione ad opera dello stesso autore del fatto, mediante sua avulsione od enucleazione».
Per capire dunque se esista l’appropriazione indebita di dati informatici, bisogna stabilire se questi:
– possono essere considerati “cosa mobile”,
– se vengono definitivamente sottratti al loro titolare o meno.
COSA SONO I DATI INFORMATICI
Come illustra la sentenza, il file è l’insieme dei dati archiviati o elaborati, «è la struttura principale con cui si archiviano i dati su un determinato supporto di memorizzazione digitale».
Nei file sono contenuti dati informatici costituti da sequenza di valori binari (0 oppure 1), dette bit.
I bit sono raggruppati in byte e un byte equivale a 8 bit.
I byte «non sono entità astratte, ma entità dotate di una propria fisicità: essi occupano fisicamente una porzione di memoria quantificabile, la dimensione della quale dipende dalla quantità di dati che in essa possono esser contenuti, e possono subire operazioni (ad esempio, la creazione, la copiatura e l’eliminazione) tecnicamente registrate o registrabili dal sistema operativo».
Ciò che ne consegue è che i file, anche se non possono essere toccati, occupano uno “spazio” esattamente come le “cose mobili“.
LA DIFFERENZA TRA APPROPRIAZIONE INDEBITA E FURTO DI INFORMAZIONI
Le entità immateriali, come le opere dell’ingegno, le idee, le informazioni, non sono cose mobili e non sono soggette all’appropriazione indebita. Sono però oggetto di “furto di informazioni”.
La differenza fra le due condotte illecite si trova in un dettaglio molto semplice.
L’appropriazione indebita comporta la perdita definitiva dell’oggetto da parte del titolare, mentre il furto d’informazioni permette all’agente di acquisire conoscenza senza privare il titolare della stessa.
LA TRASFERIBILITÀ DEI DATI
I dati informatici sono custoditi in ambienti digitali (le memorie dei nostri pc, degli smartphone, delle chiavette usb o altro), quindi, proprio come il denaro o altri oggetti materiali, possono essere oggetto di condotte di sottrazione e appropriazione.
Inoltre, possono essere facilmente trasferiti da un dispositivo all’altro oppure via internet.
Oltre al loro trasferimento, i dati possono:
– essere copiati ma non cancellati, consentendo ancora al loro titolare la fruizione,
– essere copiati e cancellati, privando il titolare della loro fruizione e dei benefici correlati, anche economici.
Sottrarre dati informatici, duplicarli e cancellare gli originali si configura quindi come sottrazione di un bene, parte del patrimonio del titolare originale dei dati, che diventa parte del patrimonio del responsabile della condotta illecita.
CONCLUSIONE
I dati sono «oggetto di diritti penalmente tutelati» e possiedono «tutti i requisiti della mobilità della cosa».
Quindi parlare di appropriazione indebita di dati informatici ha senso.
Nel caso in oggetto alla sentenza, la Cassazione conclude che «i dati informatici (files) sono qualificabili cose mobili ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi dì lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer “formattato”».
Testo della sentenza 11959/2020.
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