L’Europa si trova a un bivio cruciale: o accelera il passo nella costruzione di strumenti comuni, oppure rischia di restare schiacciata tra le potenze globali che stanno consolidando la loro supremazia tecnologica, militare ed economica. In questa fase segnata dal ritorno massiccio degli Stati sul mercato – per ragioni di sicurezza e stabilità – le piccole e medie imprese europee non possono essere lasciate indietro. La chiave, secondo molti osservatori, è rispolverare una formula già sperimentata con successo: i consorzi europei.
La storia offre precedenti importanti. Nel 1954 fu il CERN a rappresentare la prima grande sfida condivisa nella ricerca scientifica. Qualche anno dopo, nel 1969, la nascita del consorzio Airbus mostrò come la collaborazione tra Paesi e imprese potesse spezzare il monopolio di colossi come Boeing, portando l’Europa a conquistare un ruolo da protagonista nel settore aeronautico.
Oggi, in un contesto di tensioni geopolitiche e di competizione serrata sulle tecnologie di frontiera, si torna a guardare a quel modello come alla strada più efficace per garantire sovranità. Difesa, cybersicurezza e produzione di armamenti sono i primi ambiti in cui l’Unione dovrebbe coordinarsi, creando consorzi capaci di sviluppare progetti comuni e di gestire centralmente gli acquisti per evitare squilibri: senza un meccanismo europeo, il rischio è che il peso maggiore cada solo su singoli Paesi – in primis la Germania – con conseguenze politiche ed economiche delicate.
Accanto alla difesa, c’è il capitolo della tecnologia. I data center europei, cuore pulsante delle infrastrutture digitali, sono oggi dominati da società extra-UE. Un consorzio continentale sarebbe indispensabile per proteggere non solo i dati personali, ma anche la sicurezza strategica delle reti. Lo stesso vale per l’intelligenza artificiale: in Italia, Francia, Germania e Paesi baltici esistono già realtà innovative che sviluppano modelli alternativi, meno dipendenti da enormi quantità di dati e quindi più accessibili. Unirle in consorzi dedicati significherebbe rafforzare un’autonomia tecnologica europea e al tempo stesso fornire strumenti a sostegno di un welfare aggiornato e sostenibile.
La creazione di consorzi avrebbe poi effetti positivi a cascata sui mercati collegati. L’Unione dei risparmi e degli investimenti rappresenta già una corsia preferenziale, capace di attrarre capitali europei oggi spesso gestiti da fondi statunitensi. Lo stesso consolidamento bancario, reso possibile dal quadro normativo esistente, offrirebbe ai risparmiatori un canale sicuro per investire in settori strategici diversi da quello militare, evitando derive pericolose.
Ma a chi spetta la responsabilità di avviare questa nuova stagione di alleanze? Non alla Commissione, che ha il compito di interpretare le regole sugli aiuti di Stato, né al Consiglio dell’Unione, oggi affidato a presidenze non inclini a spingere in questa direzione. Il compito ricade sul Consiglio europeo, l’organo che nei momenti di crisi ha già saputo imprimere svolte decisive: dall’Unione bancaria per rispondere alla crisi finanziaria al Next Generation EU nato per affrontare la pandemia.
La lezione è chiara: quando l’Europa agisce unita, sa trasformare le difficoltà in opportunità. Ora la sfida è ancora più ampia e riguarda la sua stessa capacità di restare un attore di primo piano nello scenario internazionale. In questa partita, Italia e Germania hanno la responsabilità di assumere la leadership, con la Francia – nonostante le sue difficoltà interne – chiamata a fungere da cerniera politica.
I tempi stringono, e l’inerzia potrebbe costare cara. Ma la storia recente insegna che l’Unione, sotto pressione, ha saputo innovare. Resta da vedere se sarà in grado di farlo anche oggi, quando la posta in gioco è la sua autonomia industriale, tecnologica e strategica.
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