ROMA – Una nuova e importante pronuncia della Corte di Cassazione ridefinisce i confini del risarcimento in caso di demansionamento, stabilendo che un lavoratore ha diritto a essere indennizzato per la perdita di un emolumento, anche se accessorio, causata da un illegittimo mutamento di mansioni. La decisione, destinata a fare giurisprudenza, ribalta una precedente sentenza che aveva negato il risarcimento a un dipendente.
Il caso e la posizione della Cassazione
La vicenda giudiziaria ha avuto inizio con il ricorso di un lavoratore che, dopo anni di servizio nel turno di notte, con la relativa maggiorazione in busta paga, era stato spostato unilateralmente al turno diurno, subendo una significativa perdita economica. La Corte d’Appello aveva negato il risarcimento per la perdita della maggiorazione, sostenendo che si trattasse di un “compenso accessorio” non risarcibile, in quanto l’azienda aveva il diritto di modificare i turni di lavoro.
La Cassazione, con l’ordinanza 22636/2025, ha respinto questa impostazione. I giudici hanno chiarito che, sebbene il datore di lavoro possa avere la facoltà di riorganizzare i turni, questa non può legittimare un demansionamento che comporti un “danno patrimoniale” per il lavoratore. Il punto cruciale, secondo la Suprema Corte, non è la natura dell’indennità, ma il fatto che la perdita economica sia una conseguenza diretta e oggettiva di un atto illecito del datore di lavoro.
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