4 Agosto 2025 - LAVORO | L'indagine

I giovani vogliono crescere, non restare: meno pubblico, più carriera

Federmeccanica fotografa una generazione che cerca autonomia e sviluppo ma resta lontana dall’industria. Tra stereotipi e mismatch, il sistema formativo è chiamato a reagire

ROMA — Il lavoro non è più “il posto”, ma un percorso. E la carriera, per i giovani italiani, si cerca sempre più nel settore privato e autonomo, piuttosto che nell’impiego pubblico o nell’industria. È quanto emerge dall’ultima edizione del Monitor sul Lavoro (MoL) di Federmeccanica, realizzato da Community Research & Analysis sotto la guida del professor Daniele Marini (Università di Padova), con il supporto di Irene Lovato Menin. Un’indagine che fotografa aspirazioni, percezioni e disallineamenti generazionali nel rapporto tra giovani e mondo produttivo.

La nuova idea di lavoro: crescita e flessibilità prima della stabilità

Oggi il 60,5% dei giovani guarda al settore privato come ambiente più favorevole per crescere professionalmente, contro appena il 21,8% che preferisce il pubblico. Uno scenario rovesciato rispetto al 1987, quando quasi la metà degli under 35 ambiva a un impiego statale. Ma non solo: oltre la metà del campione (52,2%) punta sul lavoro autonomo, mentre il lavoro dipendente raccoglie appena il 32%.

E sebbene il 64,7% continui a preferire un lavoro stabile, il 57,9% vede il lavoro come un percorso di carriera in evoluzione, fatto di cambiamenti, nuove esperienze e mobilità, più che come un luogo fisso e duraturo. «Il lavoro — spiega il professor Marini — è traslocato dal posto alla traiettoria professionale, con l’obiettivo di accrescere il proprio bagaglio di competenze e gratificazioni».

Industria, un settore da cui i giovani si sentono lontani

Il dato forse più allarmante riguarda la scarsa attrattività del settore industriale: quasi il 66% dei giovani lo ritiene poco interessante, spesso associato a fatica fisica, basso riconoscimento economico e scarsa sostenibilità ambientale. Una percezione che, secondo Federmeccanica, non corrisponde alla realtà vissuta da chi in fabbrica ci lavora davvero.

La distanza tra immaginario e quotidiano è netta:

  • Il 78,7% dei giovani crede che il lavoro operaio sia puramente esecutivo, mentre tra gli operai la percentuale scende al 58,5%;

  • Il 70,6% lo ritiene principalmente fisico, contro il 46,2% degli addetti;

  • Il 72,8% lo associa al “lavoro sporco”, mentre solo il 50% degli operai lo conferma;

  • Il 59,2% immagina strumentazioni meccaniche, sottovalutando l’impatto della tecnologia (realtà solo per il 36,8% degli operai).

Un “strabismo fra percezione e realtà”, come lo definisce Marini, che continua ad allontanare le nuove generazioni dalle imprese manifatturiere, nonostante l’industria venga riconosciuta come motore di crescita nazionale dal 50,6% dei giovani (e dal 67% degli over 65).

Il mismatch educativo e il disallineamento culturale

Altro nodo centrale è il mismatch tra formazione e mercato del lavoro. Il 22,5% dei giovani denuncia difficoltà nel trovare un impiego coerente con il proprio titolo di studio; il 20,9% ritiene che le imprese non soddisfino le aspettative professionali; il 18,8% ammette di non sentirsi sufficientemente formato per i lavori richiesti.

Questi dati, secondo Stefano Franchi, direttore generale di Federmeccanica, impongono una riflessione più ampia: «Non basta una campagna di comunicazione. Serve una vera operazione culturale, che parta dalle famiglie, attraversi le scuole e coinvolga la società civile. L’industria deve essere percepita per ciò che è: un’opportunità di sviluppo personale e professionale».

La proposta: colmare il divario tra realtà e percezione

Federmeccanica si dice pronta a proseguire nel percorso di rinnovamento culturale. L’obiettivo è accorciare la distanza tra il mondo produttivo e le nuove generazioni, abbattendo stereotipi e offrendo occasioni concrete di avvicinamento. Le imprese, intanto, aprono le porte a studenti e neolaureati, ma l’efficacia delle politiche dipenderà dalla capacità di coinvolgere tutti gli attori del sistema: istituzioni, formazione, famiglie, media.

L’industria è chiamata quindi a raccontarsi in modo nuovo: non solo fatica e fabbrica, ma innovazione, tecnologia, sostenibilità, competenze. Perché — come conclude Franchi — «solo un cambiamento profondo di narrazione può far tornare l’industria al centro dei sogni professionali di una generazione che vuole costruire il proprio futuro».


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