ROMA — La longevità, nel panorama politico italiano, è una conquista rara. Ancora più rara se accompagnata da un rapporto di equilibrio con il Quirinale. Ma è su questi due assi — durata e stabilità istituzionale — che Giorgia Meloni sta costruendo il profilo del suo esecutivo. E ora, con l’avvicinarsi del 12 agosto 2025, è pronta a prendersi un posto d’onore nella storia repubblicana: 1.025 giorni di governo, superando Matteo Renzi e conquistando il quarto posto nella classifica dei governi più longevi dal dopoguerra a oggi.
Una corsa iniziata nell’ottobre 2022, tra diffidenze internazionali e ostacoli interni, che ora si appresta a tagliare un traguardo politico e simbolico. L’ex premier Renzi, fermatosi a 1.024 giorni, verrà superato tra meno di una settimana. E il 20 ottobre, data spartiacque, toccherà a Bettino Craxi cedere il gradino più basso del podio (1.093 giorni con il suo primo governo).
Il vero obiettivo: settembre 2026
Ma l’orizzonte di Giorgia Meloni guarda ben oltre. Se il governo resistesse fino al 4 settembre 2026, la premier toccherebbe quota 1.413 giorni consecutivi a Palazzo Chigi, infrangendo il record assoluto detenuto da Silvio Berlusconi con il suo secondo esecutivo (2001-2005). Berlusconi occupa attualmente sia il primo che il secondo posto della classifica (1.412 e 1.287 giorni). Il podio, insomma, è dominato dalla sua figura, e Meloni punta a inserirsi non solo nei numeri, ma nella memoria politica del Paese.
Tra Palazzo Chigi e Quirinale: l’ombra dei decreti
Se la durata è un dato oggettivo, il rapporto con il Colle è invece più sfumato. E nelle ultime settimane, i rapporti tra il governo e il Quirinale si sono raffreddati, specie sul terreno dei decreti omnibus. Uno su tutti: il decreto Sport, in discussione oggi in Senato. Il presidente della Repubblica ha sollevato perplessità su alcune norme, in particolare quelle che riguardano la gestione dei grandi eventi. Ma l’esecutivo ha scelto di non modificare il testo, aprendo la strada a un passaggio formale ma significativo: la possibile firma con rilievi allegati da parte del Capo dello Stato, indirizzati alla premier e ai presidenti delle Camere.
Un gesto che rientra nella prassi costituzionale, ma che segnala un’incrinatura nei toni, già percepita in occasione di precedenti tensioni su norme ritenute troppo generiche o estranee all’urgenza.
Una stabilità politica che non significa immobilismo
Nonostante ciò, il governo Meloni si mostra compatto e determinato, con una maggioranza parlamentare solida e pochi scricchiolii visibili. Nessuna scissione interna di rilievo, nessun rimpasto destabilizzante, e un’agenda che ha attraversato senza scosse tre leggi di bilancio e diverse riforme strutturali, dalla giustizia alla pubblica amministrazione.
Questa continuità, in un Paese abituato ai governi-lampo, rappresenta un’anomalia positiva per chi osserva l’Italia dall’estero. Ma all’interno, non mancano critiche e pressioni, soprattutto su temi come l’inflazione, il costo della vita, il rapporto con l’Unione europea e il rispetto degli impegni del PNRR.
Il fattore Meloni
Al centro di questa tenuta c’è lei, la premier, che ha saputo mantenere un profilo di comando solido, evitando scivoloni e rafforzando la propria leadership all’interno di Fratelli d’Italia e della coalizione di centrodestra. Il sorpasso su Renzi non è solo numerico: rappresenta anche un punto fermo nella narrazione di un governo che, a dispetto degli allarmi iniziali, ha trovato una sua formula di sopravvivenza.
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