Dopo una giornata di attesa e incertezza, nella notte è arrivata la firma di Donald Trump: il presidente statunitense ha dato ufficialmente attuazione all’accordo commerciale con l’Unione europea, riducendo dal 20 al 15% le tariffe sulle importazioni americane di prodotti europei, compresi auto e componenti. Il provvedimento, effettivo dal 1° agosto, segna l’avvio concreto dell’intesa stretta pochi giorni fa con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.
A Palazzo Chigi si tirano le prime somme, con l’attenzione ora rivolta alla “seconda fase” della trattativa: quella sulle esenzioni e regimi speciali. Per il governo italiano, è qui che si gioca la partita più delicata per tutelare le imprese nazionali da un impatto economico che, secondo stime della Cdp, potrebbe comunque restare contenuto, attorno ai 4 miliardi di euro.
Un danno contenuto, ma non trascurabile
Se da un lato la riduzione dei dazi rappresenta un sollievo parziale, il rischio per alcuni settori resta. Al momento, non risultano pronti piani di compensazione per le aziende danneggiate, anche perché il governo aspetta di vedere le mosse di Bruxelles prima di intervenire in modo diretto.
Ciononostante, si intravede una possibile finestra di opportunità: rispetto ad altri Paesi esportatori come l’India, che continuerà a subire tariffe del 35%, l’Italia potrebbe guadagnare quote di mercato nei settori dove le esportazioni sono più competitive.
L’Italia guarda alle clausole speciali
La priorità, per Farnesina, MEF e Ministero delle Imprese, è ottenere deroghe e regimi agevolati per i comparti più sensibili. In cima alla lista ci sono prodotti agricoli e farmaci, anche se le speranze di esenzione per il vino sembrano già ridotte al minimo.
Sulle materie prime, invece, come acciaio e alluminio, l’ordine esecutivo prevede ancora dazi molto pesanti, fino al 50%. Da qui la necessità, secondo Palazzo Chigi, di far ripartire al più presto il negoziato con Washington per modulare gli effetti delle nuove misure.
Tajani: «L’euro forte è il vero problema»
Nel frattempo, dalla diplomazia economica arrivano richieste precise anche all’Europa. Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani chiede una svolta nella politica monetaria europea: «La BCE deve agire per svalutare l’euro rispetto al dollaro. Il cambio troppo forte è un danno maggiore dei dazi».
Sulla stessa linea anche l’altro vicepremier, Matteo Salvini, che torna a criticare il Green Deal europeo, definendolo un ostacolo aggiuntivo in un contesto già difficile per le imprese.
Attese da Bruxelles
In assenza di una risposta concreta da parte dell’UE, il governo italiano frena sul varo di eventuali sostegni nazionali alle imprese colpite. L’idea di un allentamento del regime sugli aiuti di Stato, per quanto invocata da più fronti, non entusiasma Roma, preoccupata per i costi e i vincoli che ne deriverebbero.
Per ora, dunque, la linea è chiara: limitare i danni attraverso una trattativa serrata con le autorità americane e fare pressione su Bruxelles per ottenere strumenti efficaci e immediati. La partita commerciale è appena cominciata.
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