La giustizia europea corre verso la digitalizzazione. Dossier elettronici, piattaforme per la gestione dei procedimenti e software predittivi stanno entrando in maniera capillare nelle aule di tribunale, con l’obiettivo di ridurre gli arretrati e liberare risorse umane. Secondo l’ultimo rapporto della Commissione Europea per l’Efficienza della Giustizia (CEPEJ), oltre il 75% degli Stati membri ha già avviato programmi di automazione avanzata delle attività amministrative, mentre più della metà sta sperimentando l’uso di Intelligenza Artificiale (AI) per supportare i giudici nelle decisioni.
Il lato oscuro dell’innovazione
Dietro questa rivoluzione si nasconde però un nodo critico: la trasparenza. Molti degli algoritmi introdotti nei sistemi giudiziari funzionano come “scatole nere”: producono un risultato, ma non spiegano come lo hanno ottenuto. È il caso, ad esempio, dei software che stimano la pericolosità sociale degli imputati o calcolano l’ammontare dei risarcimenti.
«Se un cittadino riceve una condanna o un indennizzo basato su un algoritmo, deve poter capire su quali dati e parametri si fonda quella decisione», spiegano i giuristi. Senza questa possibilità, diventa quasi impossibile impugnare una sentenza o dimostrare che il sistema ha commesso un errore.
Uno scenario non così lontano
Immaginiamo il caso di un lavoratore licenziato che ottiene un risarcimento minimo perché un software ne ha determinato l’importo. Per contestare la decisione dovrebbe accedere ai criteri utilizzati dal programma, ma nella maggior parte dei casi tali informazioni non sono disponibili. Anche se lo fossero, la complessità tecnica costringerebbe il cittadino a rivolgersi a esperti informatici, con costi elevati.
«Il rischio è che la tecnologia, invece di democratizzare l’accesso alla giustizia, finisca per rafforzare le disuguaglianze», avverte un magistrato italiano coinvolto nei progetti di digitalizzazione.
L’Europa corre, ma le regole arrancano
Il Regolamento europeo sull’Intelligenza Artificiale, entrato in vigore quest’anno, ha classificato i sistemi di AI per livello di rischio. Quelli giudiziari si trovano in una zona grigia: non sono sempre considerati “ad alto rischio”, perciò in molti casi non sono obbligati a fornire spiegazioni dettagliate delle decisioni che generano.
Questa mancanza di chiarezza rischia di compromettere diritti fondamentali come il giusto processo e la possibilità di difendersi in giudizio. Eppure, la spinta all’automazione è forte: il Regno Unito ha già integrato Microsoft Copilot nei tribunali, mentre in Italia i fondi del PNRR finanziano un massiccio rinnovamento dell’infrastruttura tecnologica della giustizia.
Pressioni sui giudici e indipendenza a rischio
In diversi Paesi europei sono stati introdotti incentivi perché i magistrati si affidino agli algoritmi, nel tentativo di smaltire l’enorme arretrato giudiziario. Ma questa prassi, sottolineano gli esperti, può limitare la discrezionalità dei giudici e mettere a repentaglio la loro indipendenza.
«Un conto è usare l’AI come supporto, un altro è farla diventare il vero decisore. È un confine sottile, ma decisivo», spiega un docente di diritto europeo.
Cosa fare per non perdere il controllo
Gli specialisti indicano alcune priorità: introdurre obblighi di trasparenza più rigidi per i software utilizzati in ambito giudiziario, formare i magistrati all’uso consapevole delle tecnologie e prevedere organismi di controllo indipendenti.
Senza queste garanzie, il rischio è che la corsa verso la giustizia digitale lasci indietro proprio chi avrebbe più bisogno di protezione: i cittadini meno attrezzati per comprendere le logiche di sistemi complessi e opachi.
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