ROMA – Se il governo intende riscrivere la legge elettorale, dovrà farlo in fretta. Giorgia Meloni ha un obiettivo chiaro: abbandonare l’attuale sistema misto – il Rosatellum – e passare a un proporzionale puro con premio di maggioranza e l’indicazione esplicita del candidato premier. Ma l’operazione, oltre ad avere un impatto politico enorme, rischia di infrangersi contro due ostacoli rilevanti: il giudizio della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e le perplessità del Quirinale.
Il fattore tempo: la soglia dell’estate 2026
Secondo quanto emerge da fonti di governo e ambienti parlamentari, il tempo utile per approvare una nuova legge elettorale scade non oltre l’estate del 2026. Il motivo? Una sentenza attesa entro l’autunno 2025 da parte della CEDU, che si pronuncerà su un ricorso presentato da Mario Staderini, attivista e già segretario dei Radicali Italiani, con l’appoggio di numerosi cittadini. Al centro del procedimento vi è proprio la violazione del principio di stabilità del diritto elettorale, a causa delle modifiche introdotte poche settimane prima del voto del 2022.
La CEDU e la regola della “stabilità normativa”
Secondo il parere già espresso dalla Commissione di Venezia, organo consultivo del Consiglio d’Europa, le leggi elettorali dovrebbero essere modificate con largo anticipo rispetto alle elezioni, per garantire agli elettori e ai candidati il tempo necessario a comprenderne gli effetti. Riforme frequenti e a ridosso del voto, ha avvertito la Commissione, minano la fiducia pubblica nel sistema elettorale e possono apparire come strumenti di manipolazione a fini di convenienza politica.
Se la Corte europea dovesse accogliere queste argomentazioni, il principio di “non modificabilità della legge elettorale nell’anno che precede il voto” potrebbe assumere valore giuridico vincolante anche per l’Italia. A quel punto, ogni tentativo di cambiare le regole in extremis – come fatto nel 2017 con il Rosatellum – sarebbe di fatto delegittimato.
I dubbi del Colle
Il rischio più concreto, in caso di sentenza sfavorevole della CEDU, è che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si rifiuti di firmare una riforma approvata nell’ultimo anno della legislatura, cioè a ridosso del voto previsto per la primavera 2027. Il precedente del 2017, quando Mattarella firmò il Rosatellum pochi mesi prima delle elezioni, potrebbe non valere più oggi, proprio alla luce del nuovo contesto normativo europeo e dell’accentuata sensibilità istituzionale su questi temi.
Fonti vicine al Quirinale fanno sapere che l’irritualità di una riforma così strategica in piena fase pre-elettorale sarebbe vista con particolare cautela. Da qui l’urgenza, per il governo, di intervenire entro il 2026, evitando rischi istituzionali e giuridici.
Le ragioni politiche della riforma
L’interesse della maggioranza è chiaro: abolire i collegi uninominali – che facilitano le alleanze di opposizione – e introdurre un sistema proporzionale con premio di maggioranza, pensato come anticamera del premierato. Una mossa di ingegneria elettorale, che Meloni considera essenziale per neutralizzare il fronte progressista e assicurarsi la guida del governo anche in un quadro multipartitico frammentato.
La strategia ha trovato consensi anche tra gli alleati della Lega, che tuttavia preferirebbero mantenere il Rosatellum, mentre il Partito Democratico, almeno per ora, non ha interesse a cambiare. La premier, però, è stata chiara: «Se non cambiamo la legge elettorale, perdiamo tutti».
Le altre questioni sul tavolo della Corte europea
Oltre alla stabilità normativa, il ricorso alla CEDU affronta altri due aspetti critici del sistema italiano:
- L’impossibilità per un cittadino di ricorrere direttamente alla Corte Costituzionale contro una legge elettorale – diversamente da quanto accade in Germania.
- Il divieto di voto disgiunto tra la parte proporzionale e quella maggioritaria del Rosatellum, che impedisce agli elettori di esprimere una preferenza più articolata e strategica.
Su quest’ultimo punto, in particolare, un’eventuale apertura al voto disgiunto potrebbe favorire strategie di desistenza tra i partiti di opposizione, simili a quelle sperimentate con successo nel 2006 da Rifondazione Comunista in favore di Romano Prodi.
La minaccia dell’illegittimità
In caso di approvazione della riforma negli ultimi mesi di legislatura e di sentenza contraria della CEDU, si aprirebbe uno scenario delicatissimo: l’illegittimità costituzionale della nuova legge potrebbe essere sollevata fin da subito, anche grazie a eventuali nuove norme che permettano il ricorso diretto da parte dei cittadini, come chiesto da Staderini e sostenuto da una proposta di legge popolare che ha raccolto 70 mila firme in appena 48 ore.
Il precedente e l’ammonimento
Il rischio di tornare a eleggere un Parlamento con una legge destinata a essere bocciata – come avvenuto con il Porcellum nel 2013 e con l’Italicum nel 2017 – è concreto. E, come ricorda Staderini: «Negli ultimi vent’anni abbiamo votato con regole che poi sono state dichiarate incostituzionali. Non stupisce che un italiano su due non voti più».
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